Conte sarà pure tra gli ultimi arrivati sul palcoscenico della politica ma ormai lo calca da sette anni. Ha imparato presto a muoversi e il suo modus operandi è comunque ormai noto. L'avvocato rifugge lo scontro, cerca di evitarlo a ogni costo. Ma se si sente direttamente minacciato si butta nella zuffa e picchia duro. A ragion veduta va interpretato il messaggio di Grillo sui tre punti irrinunciabili del dna pentastellato come una minaccia esiziale contro la sua leadership e ha reagito rilanciando e accettando la guerra. E' probabile che alla fine la vincerà. Quel tanto di establishment che si è creato nel Movimento in questi anni lo appoggerà per il semplice motivo che vuole appunto restare establishment e con un ritorno di Grillo al comando vedrebbe invece lampeggiare la freccia che indica la porta d'uscita.

Buona parte dell'elettorato e dei militanti starà dalla sua parte perché se è vero che dietro la retorica della 'democrazia partecipativa' e dell'Assemblea costituente rivoluzionaria si nasconde una sostanziale normalizzazione del partito e la sua definitiva trasformazione in 'Movimento contiano' è anche vero che Grillo non offre alcuna prospettiva, non è in grado di mettere sul tavolo alcuna strategia diversa da quella dell'ex premier e dunque riduce la sua battaglia a questione più di nostalgia che di principio.

E' possibile, e forse probabile, che la disputa finisca nel modo più inglorioso ma anche, per alcuni versi, più consono alla natura del Movimento, almeno per come era nato e per come è stato sinora: in tribunale. Nel suo post Grillo ha indicato tre pilastri intoccabili. Uno, la regola del doppio mandato, è reale, determinante ed è il vero oggetto della contesa.

Gli altri due, il nome e il simbolo, erano solo uno modo per ricordare che il padrone di quei due elementi quanto nessun altro identitari è lui. Conte, che in fondo di mestiere faceva l'avvocato e non dimentica certo i rudimenti della professione, ha già fatto sapere di non concordare con questa interpretazione, peraltro supportata da una sentenza della Corte d'appello di Genova. A suo parere, invece, la proprietà sarebbe dell'Associazione Movimento 5 Stelle. Finirà che agli adorati giudici spetterà l'ardua sentenza. Non è una questione di lana caprina. In un caso scissionisti, sia pure se probabilmente maggioritaria, sarebbero i contiani. Nell'altro i grillini. In termini di richiamo identitario la faccenda non è affatto di secondaria importanza.

Ma comunque vada a finire, senza una possibile ma improbabilissima ricomposizione tra i due contendenti Conte rischia di perdere per strada una parte sostanziosa dell'elettorato. Una parte degli elettori rimasti al Movimento, quella che ha sempre sognato un Movimento modellato su Di Battista e Raggi invece che sul ' normalizzatore' Conte e quella porzione di elettorato crescerebbe se Grillo riuscisse a inventarsi qualcosa da mettere in campo, con o senza il vessillo del cuore e il celebrato nome. Conte lo sa perfettamente e dunque sa anche di dover parare quel colpo, limitando quanto più possibile il danno.

Per provare a farlo c'è una strada sola: rimarcare autonomia, indipendenza e anche conflittualità nei confronti del Pd senza per questo rendere impraticabile il Campo largo, che resta comunque l'unica strada che Conte possa percorrere in questo momento. E' un esercizio che richiede notevoli doti di equilibrio (e anche di equilibrismo). Conte ci sta già provando: il veto su Renzi tra i campeggiatori è una sfida diretta a Elly, che ha invece già dato il suo semaforo verde. La manovra per affossare Andrea Orlando, che sembrava il candidato naturale in Liguria, è una prova di forza esplicita.

L'uscita dalla giunta di Bari la prova che i 5S di Conte, se il gioco si fa duro, sono pronti ad andare fino in fondo. In parte quello dell'avvocato è un rischio calcolato. Sa che per Elly la costruzione del Campo largo, e dunque in primo luogo l'alleanza con il Movimento, è di vitale importanza e di conseguenza è consapevole di poter forzare la mano, almeno sino a un certo punto. Ma è anche un gioco pericoloso, perché il vero banco di prova sarà la politica estera e lì tutto dipende da circostanze oggi non prevedibili. Il frondismo pacifista di Conte, ma anche di Fratoianni e Bonelli, può non rivelarsi esplosivo in circostanze di tensione internazionale anche alta ma contenuta. Oltre un certo livello, però, lo scontro sulla politica estera rischia di far saltare in aria qualsiasi campo nel centrosinistra.