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conte Mélenchon
Per le celebrazioni del 25 aprile ha scelto il Quadraro, “quartiere rosso” della Capitale, roccaforte della Resistenza partigiana rastrellata dai tedeschi nel 1944. Eppure Giuseppe Conte la parola “sinistra” non riesce ancora a pronunciarla: ancora troppo radicata la logica dell’equidistanza nella pancia grillina per rompere gli indugi. Ma collocare il Movimento, come ha fatto l’ex premier, nel campo “progressista” è già un grande passo per la creazione di una nuova narrazione politica. Perché il fu avvocato del popolo prova a ridare linfa a un partito morente strizzando l’occhio agli elettori dem delusi.
L’epoca irripetibile dell’antipolitica è andata già da un pezzo e il versante sovranista è ben presidiato per sperare di trarre qualche vantaggio. A Conte non resta che piazzarsi sul versante sinistro del Pd, dove già lo aspetta trepidante una parte di Leu, valorizzando i temi sociali della storia pentastellata e puntando su nuovi obiettivi radicali e caratterizzanti. Un Jean- Luc Mélenchon all’amatriciana - senza la cultura politica di Mélenchon - in altre parole, capace di parlare ai giovani e portare a casa buoni risultati elettorali. Certo, bisognerà far dimenticare in fretta agli “italiani indomiti” le infinite giravolte degli ultimi tre anni - il governo con la Lega, gli ammiccamenti al trumpismo, le ambiguità lepeniste - ma Conte vuole provarci (sempre che il suo partito lo segua).
E per capire la mutazione antropologica del leader 5S, basta rileggere l’intervento pronunciato domenica scorsa al congresso di Articolo 1, in gran parte dedicato ai temi del lavoro e del welfare: «Ci sono 4,5 milioni di lavoratori che hanno paghe da fame e dobbiamo dire basta a questi salari da fame», ha detto Conte in casa di chi certe questioni dovrebbe tenerle in cima all’agenda. «Approviamo questo salario minimo. La nostra proposta in Parlamento giace da tempo e ogni giorno che passa e uno schiaffo a chi prende queste paghe che non consentono un’esistenza né libera e né dignitosa. Uniamoci in questa battaglia», è stato l’invito accolto da applausi scroscianti di una platea divisa tra quanti vorrebbero tornare alla casa madre (il Pd) e quanti nell’estate scorsa avevano sperato in una rottura tra Grillo e Conte per sposare il progetto mai nato dell’ex premier. «Non possiamo lasciare ai partiti di destra, e in particolare a quelli di matrice xenofoba come il partito lepenista, la risposta ai drammatici problemi economici e sociali», ha insistito Conte, convinto che in questo momento la proposta non possa «essere togliere il Reddito di cittadinanza per investire sulle armi». Perché «una forza progressista non spaccia per flessibilità la precarietà e non lavora per demolire il reddito di cittadinanza ma anzi per rafforzarlo».
Musica per le orecchie di Bersani, da tempo convinto che Conte sia “frontman” giusto per far uscire dall’irrilevanza elettorale l’area a sinistra del Pd. E non è un caso che sia proprio Bersani a fare gli onori di casa, accogliendo con un abbraccio l’ex presidente del Consiglio e difendendolo dagli «attacchi continui e denigratori» che, dice l’esponente di Articolo 1, « aprono strade alla destra».
Per Bersani il ritorno degli anti renziani alla casa madre è tutt’altro che scontato. «A chi mi chiede se vogliamo rientrare nel Pd domando: ma ci vogliono? Enrico Letta ha espresso la volontà di fare un passo avanti e su questo non ho dubbi, ma dobbiamo lavorarci», perché «la fase della deriva politica renziana è passata, ma è mancata la discussione politica su quella fase, e questo pesa», è il ragionamento bersaniano. Che Conte coglie al balzo e dice: «Il nostro orizzonte è progressista» e «c’è una strada per essere progressisti insieme. Voglio darvi atto della grande lealtà dimostrata durante il Conte II all’azione di governo. Quella strada l’abbiamo fatta insieme» e «credo che quella storia non sia finita».
Il percorso, nel disegno del leader 5S e di parte della sinistra, comincia adesso. Ora che il draghismo ha congelato il confronto e la guerra ha piallato il dissenso. E proprio per questo Conte non rinuncia a marcare la propria differenza dal Pd, in tema di armamenti, toccando una corda molto cara a una parte dell’elettorato di sinistra: il pacifismo e uno strisciante anti americanismo.
«Ci rendiamo conto che ci sono tutti gli estremi del diritto alla legittima difesa», ha spiegato il capo del grillismo, purché non si pensi «di fornire armamenti sempre più pesanti e sempre più offensivi». No «alla corsa al riarmo dei singoli Stati», sì «alla difesa comune europea». Mancano la retorica e il piglio radicale di Mélenchon, ma il “nuovo corso” di Conte proverà a guardare a sinistra.