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Conte si dimetterà domani mattina. La decisione è stata sofferta. Il premier ha scelto la strada delle dimissioni lampo solo nel primo pomeriggio. Questa mattina, stando alle opinioni unanimi dei media, Giuseppe Conte aveva le dimissioni in tasca. La notizia era dilagata ovunque tranne che a palazzo Chigi. Conte non aveva alcuna voglia di dimettersi nonostante l'ostacolo piazzato da Di Maio sulla strada che meditava di percorrere. Sfidare il voto sulla giustizia ma ben deciso, in caso di sconfitta, a sacrificare il ministro Bonafede senza per questo rassegnare a propria volta le dimissioni. Ma il sacrificio di Bonafede per salvare Conte non sarebbe stato accettabile per i 5S. Alle dimissioni del guardasigilli sarebbero dovute seguire quelle del premier, a conferma del fatto che il voto sul ministro della Giustizia era a tutti gli effetti un voto di fiducia. Per tutta la mattina è proseguita la ricerca di soluzioni tali da garantire che una maggioranza sulla relazione di Bonafede ci sarebbe comunque stata ma per quanto si bussasse a ogni porta quella certezza non usciva fuori. A ogni consultazione appariva anzi più probabile la bocciatura. I 5S sono stati chiari: «Dovrai dimetterti comunque, prima o dopo il voto. Meglio prima». Conte si è rassegnato. «Non vorrei apparire attaccato alla poltrona», ha confidato agli intimi. E si è deciso a un passo che sino all'ultimo avrebbe preferito evitare. Lo ha fatto con uno schema di soluzione in tasca che presenta però un punto oscuro tutt'altro che risolto e parecchie incognite. Dopo le dimissioni, Conte rivolgerà una sorta di appello agli europeisti perché, tutti insieme, salvino governo e legislatura. Tra i destinatari non ci sono Lega e FdI, i "sovranisti", ma ci sono di certo Renzi e Fi, nonché alcuni senatori ex forzisti passati al misto e l'Udc. L'ipotesi sarebbe formare un nuovo gruppo con i centristi già presenti nel misto, magari con qualche uscita da Fi e da Iv, in modo da controbilanciare il rientro dei renziani privandoli della golden share sulla maggioranza assoluta. Pur senza entrare in maggioranza, Fi e alcuni altri senatori si avvicinerebbero al governo in nome del dialogo sulle riforme, per costituire una sorta di rete di protezione. Le incognite sono evidenti. Cosa succederebbe se Fi accettasse l'invito rendendo la formula indigeribile per i 5S e forse anche per LeU? L'ipotesi per fortuna di Conte è improbabile. E come si metterebbe Conte se, nonostante l'esaudimento passaggio di crisi, i "centristi" non si materializzessero? O non fossero in numero sufficiente da formare un gruppo? O se la prevista emorragia dei renziani non si verificasse? Ma questi, nonostante tutto, sono problemi minori. Il vero problema è che Conte immagina una nuova maggioranza a sostegno di un governo praticamente immutato, con piccoli spostamenti marginali e forse neppure quelli. Distribuzione nei posti nei sottosegretariati sì, altrimenti di nuovo gruppo centrista sarebbe meglio non parlare proprio. Assegnazione dei posti vacanti ai nuovi alleati, nell'ipotesi peraltro tutta da verificarsi di un sostegno esterno renziano, certo. Ma nulla di più. Solo che partire con questo disegno in mente significa candidarsi a sbattere di nuovo. È evidente che un nuovo governo, tanto più se sostenuto da una maggioranza "di salvezza nazionale", non può essere sostanzialmente identico a quello precedente. Al contrario, le trattative per costituirlo saranno forse non lunghe, perché i tempi non lo permettono, ma burrascose. Le dimissioni di Conte aprono una nuova fase nella crisi. Non la risolvono e l'illusione di una crisi lampo finta, fatta per non cambiare niente, peggiorerebbe solo le cose. Il nodo intorno al quale la politica italiana resta avvitata, nonostante le apparenze, rischia di essere sempre lo stesso. Con la scelta suicida dello showdown in aula della settimana scorsa, il voto di fiducia voluto da Conte, tutto è cambiato e il quadro politico complessivo del giorno precedente è stato distrutto in modo irreparabile. Da allora il premier cerca disperatamente di non prenderne atto e se insisterà sul mantenere il governo immutato sarà un ulteriore passo su quella china. Prima si convincerà di dover fare i conti con una realtà nuova, meglio sarà per tutti e anche per lui.