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Chi ha avuto modo di vederlo racconta di un Giuseppe Conte «amareggiato e deciso a lasciare». A nulla, per ora, sono valsi i disperati tentativi di mediazione portati avanti dai dirigenti più fidati dell’ex premier - Stefano Patuanelli e Paola Taverna su tutti - che per due ore provano a convincere l’avvocato a non mollare, a lasciare aperto uno spiraglio al dialogo. Ma niente da fare: quello che doveva essere il rifondatore del M5S non può accettare la diarchia con la mina vagante Beppe Grillo e sta per sfilarsi. Conte considera «irricevibili» le condizioni poste dal “garante” e «inammissibile» quanto avvenuto il giorno prima, col fondatore a umiliare la sua leadership davanti ai parlamentari. Per questo la ricomposizione della frattura sembra impresa ardita, se non impossibile. I canali di comunicazione tra i due leader si sono interrotti, tanto che Grillo lascia la Capitale venerdì mattina senza nemmeno cercare un incontro chiarificatore e Conte si chiude nel mutismo annullando tutti gli appuntamenti in agenda: niente webinar previsto nel pomeriggio con il ministro Luigi Di Maio e niente ntervista a Sky già fissata in serata. L’avvocato dovrebbe parlare in conferenza stampa non prima dell’inizio della prossima settimana, un modo per guadagnare tempo e ragionare a mente fredda sul da farsi. Ma chi conosce l’ex premier lo descrive «puntiglioso e tignoso», difficile dunque fargli cambiare idea. Per questo il quartier generale pentastellato è in allarme. Il ministro degli Esteri ed ex capo politico invita tutti alla calma: «Serve compattezza», ripete ai suoi. «Dialoghiamo con il massimo impegno e lavoriamo per unire». Di Maio, che non ha mai apprezzato la leadership di Conte, sa perfettamente che all’ex presidente del Consiglio sono legate le uniche chances di sopravvivenza del Movimento 5 Stelle e prova a far tornare alla ragione entrambi i contendenti. Ma sa perfettamente quanto sia complicato raffreddare le tempie di Grillo dopo una sfuriata di quelle dimensioni.
Non resta che aspettare e sperare nel fattore tempo per distendere il clima. Il rischio che tutto imploda terrorizza i ministri pentastellati che in serata si riuniscono per fare il punto della situazione. Ma comunque la si guardi la situazione non presenta troppe soluzioni alternative: o Conte cede, accettando la condizione di leader dimezzato, o abbandona il Movimento al suo destino. In ogni caso le prospettive non si presentano rosee per nessuno. «Ma cosa crede di fare Giuseppe?», dice una deputata schierata con l’ex comico. «Non credo proprio sia nelle condizioni di rimanere nel Movimento dopo quello che è successo. Ma non credo proprio neanche che sia nelle creare un altro partito. Con quali soldi? E che ne sarà della sua popolarità tra due anni, quando si tornerà a elezioni?». Le incognite però non avvolgono solo il futuro dell’ex premier, da oggi anche il M5S piomba nell’incertezza. Chi guiderà il partito? Che ne sarà dell’alleanza col Pd? E del governo Draghi? I parlamentari navigano a vista, nessuno se la sente di puntare un centesimo su un qualsiasi scenario possibile. Solo qualcuno si sbilancia confidando che a questo punto l’unica possibilità rimasta sia quella di affidarsi al carisma da piazza di Alessandro Di Battista, attualmente impegnato in un viaggio in America latina “sulle tracce del Che”. Ma per rientrare nel partito Dibba ha già posto una sola condizione: uscire dalla maggioranza di governo. Una iattura per l’ala moderata del partito che sull’affidabilità istituzionale ha modellato gli ultimi tre anni di carriera politica. Il M5S non reggerebbe comunque l’impatto.
«È un momento chiaramente anche difficile ma allo stesso tempo di confronto interno. È giusto che ci sia per portare a un risultato finale che possa mettere insieme le anime del Movimento 5 Stelle e con una visione completamente nuova», prova a stemperare i toni il ministro per i Rapporti col Parlamento, Federico D’Incà, contiano di ferro. «Abbiamo bisogno di poterci concentrare come fatto fino a oggi sulle grandi problematiche del nostro Paese, con un Movimento ancora più forte, con dei regolamenti interni, con degli statuti che ci permettano di guardare al 2050», aggiunge D’Incà. «Quello è un grande traguardo, non tanto per noi singoli membri del governo all’interno del Movimento 5 Stelle ma per l’intero paese. È il momento di cogliere grandi possibilità e lo si fa attraverso un Movimento ancora più forte», conclude il ministro, provando a infondere ottimismo mentre la barca affonda.