Si dovrà attendere il responso, insindacabile, dell’Aula per sapere se la strategia della maggioranza, e in particolare di Fratelli d’Italia, andrà in porto. E cioè se Francesco Saverio Marini, consigliere giuridico della presidente del Consiglio Giorgia Meloni e “padre” del premierato, sarà eletto giudice della Corte costituzionale, riempiendo quella casella che risulta mancante da ormai undici mesi.

Allo stesso modo, soltanto al momento del voto, previsto per mezzogiorno e mezzo, sarà evidente la scelta delle opposizioni dopo le trattative frenetiche andate avanti per tutta la giornata di ieri tra chi era intenzionato da subito ad abbandonare l’Aula, come Pd, Avs e centristi e chi, come il M5S, avrebbe preferito non disertare il voto ma confluire tutti su un nome di garanzia, il cosiddetto candidato di bandiera. E se i gruppi congiunti di Camera e Senato del Pd si riuniranno di prima mattina per decidere il da farsi, i contiani potrebbero convergere su un compromesso, cioè l’entrata in Aula ma senza ritirare la scheda, così da rendere evidente la non partecipazione al voto.

Su ogni strategia pesa tuttavia anche il fatto che un eventuale candidato di bandiera potrebbe non essere del tutto tale, visto che per eleggere il giudice mancante servono 363 parlamentari, deputato più, senatore meno di quelli sui quali la maggioranza può contare dopo i recenti arrivi da Azione e M5S. Pochi voti in disaccordo, dunque, e in caso di compattezza delle opposizioni il banco potrebbe saltare. Proprio per questo, pallottoliere alla mano centrodestra e centrosinistra arrivano al voto di oggi con tante incognite e poche certezze.

Uno dei punti fermi è la volontà, da parte dei partiti di governo, di eleggere Marini. «Se il nome fosse lui lo voterei molto volentieri», il commento del viceministro azzurro della Giustizia Francesco Paolo Sisto, sull’ipotesi Marini. Il quale tuttavia è visto come oggetto di un “blitz” da parte della presidente del Consiglio, secondo quanto detto dalla segretaria del Pd, Elly Schlein. «Questa concezione proprietaria delle massime istituzioni della repubblica deve finire qui, e vederci tutti mobilitati a difesa delle garanzie democratiche», aveva detto nel weekend durante un’iniziativa contro l’Autonomia.

«Se il Parlamento non vota per la Consulta è un “vulnus”, se il Parlamento vota per la Consulta è un “blitz” - ha scritto sui social Enrico Costa, passato di recente da Azione alla “casa madre” Forza Italia - Per la sinistra rispettare la Costituzione significa essere loro a indicare il Giudice, perché chi viene da sinistra è figura moralmente “di garanzia” per definizione».

Lo stesso partito azzurro ha chiamato a raccolta i suoi in vista del voto, tanto che nella chat dei deputati il capogruppo, Paolo Barelli, ha ricordato che il segretario del partito, Antonio Tajani, insieme agli altri leader della coalizione hanno deciso di procedere con la votazione del giudice. Seguiva invito a essere presenti ed evitare missioni e altri impegni, con un rimando a successivi “dettagli” sulle indicazioni di voto.

Leit motiv, quello del blitz, ripreso anche dagli alleati del Pd, a partire da Avs e Più Europa. «La presidente Meloni non può occupare il massimo organo di garanzia come la Corte Costituzionale e, per questo, la invito a non procedere con un blitz martedì per l’elezione del giudice costituzionale, scegliendo il suo consigliere giuridico, autore della legge sul premierato - è la posizione del portavoce nazionale di Europa Verde e deputato di Avs Angelo Bonelli - Il professor Marini è anche presidente della commissione paritetica della Valle d’Aosta e, per tale organismo, ha redatto numerosi ricorsi alla Consulta: c’è un evidente conflitto d’interessi che dovrebbe portare la premier a evitare questo blitz, volto a far eleggere Marini, il quale, da giudice della Corte, si troverebbe a dover giudicare l’ammissibilità del referendum sull’autonomia differenziata, la riforma sul premierato da lui stesso scritta e i ricorsi da lui presentati per conto della Regione Valle d’Aosta».

Secondo il segretario di Più Europa Riccardo Magi «Giorgia Meloni ha venduto per mesi il premierato come il modo per dare più potere di scegliere ai cittadini» e invece ora «sta facendo di tutto per nominare dei suoi fedelissimi alla Corte Costituzionale per fermare i referendum sui quali i cittadini hanno raccolto le firme, cittadinanza e autonomia in primis». Fino a definire «democraticamente pericoloso» che la presidente del Consiglio «punti addirittura sul consigliere giuridico di Palazzo Chigi Francesco Saverio Marini, padre del premierato». Cerca il pragmatismo invece Carlo Calenda, che fino al tardo pomeriggio di ieri invitava a «insistere» per cercare il dialogo con la maggioranza. «L’unica aspirazione che abbiamo è non fare è la figura degli imbecilli come l’altra volta sulla Rai - è il ragionamento - Penso che non si possa andare avanti continuamente sull’Aventino».