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È leggermente in ritardo il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, quando apre la seduta per l’elezione, da parte del Parlamento in seduta comune, del giudice mancante della Corte costituzionale. I banchi della Camera sono praticamente vuoti, deputati e senatori presenti sono poche decine. Fuori, il transatlantico brulica invece di parlamentari e giornalisti, portavoce e portaborse, tutti intenti a ragionare su quel che accadrà ora.
Pochi minuti prima infatti il centrodestra ha deciso di votare scheda bianca e non scrivere il nome di Francesco Saverio Marini, costituzionalista e consigliere giuridico della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. L’ha fatto, in soldoni, per non rischiare di non ottenere il quorum richiesto, cioè i tre quinti dei componenti e quindi 363 voti, ma ufficialmente la linea che passa è quella del «rispetto istituzionale», visto l’Aventino deciso da tutte le opposizioni, per una volta unite.
E dunque si comincia a votare, ma il tutto si svolge come una lenta processione di «assente», al momento della chiama dei parlamentari dell’opposizione, e di una rapida sfilata da parte di quelli della maggioranza, compresi i membri del governo. Passano sotto lo scranno pilato di Montecitorio il sottosegretario all’Economia Federico Freni, l’ex presidente del Senato Elisabetta Casellati, il viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto, il ministro Gilberto Pichetto Fratin. Tutti, rigorosamente, depositano nell’urna la scheda bianca, segno inequivocabile della mancanza di dialogo, per l’ottava volta di fila, tra maggioranza e opposizione. Al termine dello scrutinio le “bianche” saranno 323, i voti dispersi 9, le schede nulle 10.
«La compattezza delle opposizioni ha fermato la forzatura della maggioranza, ora accettino il dialogo con le opposizioni che si sono rifiutati di avere fino a qui», ragiona la segretaria del Pd, Elly Schlein, assediata dai giornalisti. Che poco dopo non lasciano scampo al responsabile organizzazione di Fratelli d’Italia, Giovanni Donzelli, che butta la palla dall’altra parte. «Se le opposizioni pensano di bloccare le istituzioni a vita fino a quando la maggioranza non fa quello che dicono loro sbagliano, fanno male alle istituzioni e a se stessi - scandisce nervosamente in mezzo a un capannello di cronisti - Il tema è molto semplice: il loro gioco è “blocchiamo la democrazia e l’Italia perché Meloni ha vinto le elezioni”, ma non funziona così: sono passati due anni, accettino la realtà: hanno perso le elezioni». Poi corre a votare.
Si vedono Mara Carfagna e Maria Stella Gelmini, ormai inseparabili dopo l’addio congiunto ad Azione. Salutano entrambe Enrico Costa, altro fuoriuscito dal partito di Carlo Calenda per tornare alla corte di Forza Italia. Poco più in là, diversi peones si lamentano nemmeno troppo velatamente con i loro stessi colleghi di partito della maggioranza. «Ci hanno detto di precipitarci in fretta e furia a Roma perché ogni voto sarebbe stato decisivo - riflette amaramente un deputato leghista - e ora viene fuori che votiamo scheda bianca, mah…».
C’è anche chi ipotizza che il M5S di Giuseppe Conte sarebbe stato pronto a votare Marini (in cambio dell’accordo sulla Rai) ma il gioco sarebbe saltato quando il Pd, con la mossa dell’Aventino, ha scoperto il fianco dei pentastellati. Di fatto la richiesta di sostegno alla maggioranza, dopo l’ennesima fumata nera, diventa palese per bocca del leader della Lega, Matteo Salvini. Per eleggere il giudice «serve la collaborazione di una parte di opposizione, Schlein dice no a tutto ma conto che nell’opposizione ci sia qualcuno di più vicino all’esigenza del Paese», ragiona nel pomeriggio lasciando aperta la porta del dialogo.
E mentre da palazzo Chigi filtra tutto il disappunto della presidente del Consiglio per quanto accaduto, il capogruppo di FdI alla Camera Tommaso Foti definisce «un bluff» il «preteso conflitto di interessi del consigliere giuridico del presidente del Consiglio» ricordando che «nel settembre 2022, ad esempio, venne nominato alla Consulta Marco d’Alberti, consigliere giuridico del presidente Draghi». Ma per il segretario di Più Europa Riccardo Magi «Meloni ha tentato il blitz sulla Consulta ed è stata una debacle nel metodo e nel merito», e di «scorrettezza istituzionale» da parte di Meloni parla il leder di Iv Matte Renzi. E mentre Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli di Avs si rivolgono direttamente a palazzo Chigi affermando che «fare le prove muscolari su organismi di garanzia come la Corte Costituzionale è un pessimo segnale per le Istituzioni specialmente se il braccio di ferro è finalizzato a far eleggere un giudice in palese conflitto di interessi», il leader M5S Conte definisce quello «organizzato da Meloni in persona» un «blitz fallito».
Ora si guarda alle prossime mosse dei due schieramenti, con una nuova convocazione del Parlamento in seduta comune ipotizzata dal vicepresidente della Camera, il forzista Giorgio Mulè, già per la prossima settimana. Se il nome di Francesco Saverio Marini fosse «bruciato» sarebbe «un falò delle streghe», ha detto a scrutinio ancora in corso. «Il professor Marini - ha aggiunto - ha l’esperienza e la competenza giusta», spiegando che dopo la fumata nera di ieri «si potrebbe rivotare già la prossima settimana».