PHOTO
Dopo l’incontro col premier, Salvini e Tajani cambiano i toni per evitare la crisi
Stando ai commenti dei leader della destra di governo, il leghista Matteo Salvini e il forzista Antonio Tajani, all'uscita dall'incontro con Mario Draghi, ieri mattina, si direbbe che la tempesta sulla delega fiscale se la siano inventata i cronisti, stanchi della bonaccia sul fronte della politica interna, e che a paventare la crisi di governo ci si sia messo apposta Enrico Letta, per alzare un po' il livello dei consensi pre- elettorali. Idillio è dir poco: disponibilità piena da ambo le parti. Il premier contrarissimo a uno stralcio della riforma del catasto dalla delega, che però non gli chiede nessuno. I leader della destra più che disponibili ad accontentarsi di una ridefinizione formale che finga di escludere quello che non è possibile escludere: un aumento delle tasse. La revisione del catasto implica infatti la ridefinizione dei valori catastali di case spesso accatastate per un valore molto inferiore a quello reale di oggi ed è questo che la destra cercava di contrastare.
Ora ' i tecnici' dei partiti e del governo hanno alcuni giorni per limare il testo tanto da consentire a Salvini di strillare che l'aumento del carico fiscale reclamato dai perfidi soci di maggioranza, Pd, 5S e LeU, è stato sventato. Hanno ragione Carlo Calenda e Giorgia Meloni nel bollare l'intera faccenda come «teatro» ed è naturale che sia così dal momento che né Silvio Berlusconi né Matteo Salvini vogliono correre il rischio di crisi ed elezioni ora. La trattativa sarebbe stata molto più dura se Draghi avesse dovuto trovare un'intesa con la leader di FdI, non perché lei sia più interessata alle tasse di chi paga pochissimo per case che valgono moltissimo ma perché lei, a differenza dei due sedicenti alleati della destra, le elezioni le vorrebbe davvero il prima possibile.
Sulla fragilità della maggioranza infatti non ci sono dubbi. A proteggerla c'è solo la paura del voto per alcuni e, per altri, quella di apparire come quelli che provocano la corsa alle elezioni anticipate che in realtà auspicano. È il caso di Enrico Letta e, per motivi diversi di Giuseppe Conte. Per il segretario del Pd le elezioni a breve sarebbero una manna dal cielo. I sondaggi lo confortano, la temperie ' bellica' lo agevola, i 5S non sarebbero oggi in grado di rifiutare un'alleanza nella quale sarebbero condannati a subire il primato assoluto del Nazareno, la destra appare divisa e in difficoltà. Ma l'intera strategia, anche elettorale, di Letta è basata proprio sul proporre il suo partito come pilastro della maggioranza e del governo. Le elezioni sarebbero gradite, però le devono provocare altri.
Conte non vede l'ora di svincolarsi da un patto di maggioranza che lo impastoia nel tentativo di restituire un'identità al Movimento che oggi ne è privo e di ridare smalto e grinta a un partito che, nato per cambiare tutto, appare oggi come truppa amorfa e pronta a tutto pur di restare in sella. Ma anche per lui la condizione di base è che a provocare la crisi non sia il suo partito, perché in caso contrario franerebbe ogni possibilità di alleanza con il Pd e Conte, pur scalpitando, oggi non dispone di altri interlocutori.
Così forse non è un caso se il più deciso e aggressivo, l'unico intenzionato davvero a non votare la riforma del Csm giudicandola insignificante, è proprio il leader che più di ogni altro ha voluto questo governo. Matteo Renzi non riesce a trasformare i successi ottenuti grazie alla sua personale abilità manovriera né in consensi né in progetto politico, si sente messo all'angolo mentre il voto si avvicina , come sempre quando si trova in situazioni simili, sgroppa e punta sul movimento pur senza avere un'idea precisa di dove vuole arrivare. In questa situazione la palla è nelle mani di Draghi. È lui che dovrà non solo decidere, confermare poi in numerose occasioni la scelta, se restare alla guida di un governo sostenuto da una maggioranza fragile e divisa, dunque senza quella piena libertà di movimento che considera indispensabile oppure se chiudere in anticipo la sua esperienza. Dato e non concesso che i vincoli internazionali gli lascino davvero una scelta e non lo costringano invece a restare comunque dove sta almeno sino alla fine di una crisi internazionale che non sembra affatto dietro l'angolo.