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C'era una volta il dalemone e in tutta evidenza ancora c'è. L'ex leader maximo non si limita a guidare la campagna per il No all'interno del Pd: è anche l'unico ad avere un progetto strategico alternativo a quello del premier. È vero però che i dalemoni si somigliano tutti, e questo non si smentisce: fa perno sull'alleanza con l'ex nemico numero 1 della sinistra, Silvio Berlusconi, ex cavaliere e al momento sfinge dalle cui scelte potrebbero dipendere il verdetto delle urne e di conseguenza la sorte sia di Massimo D'Alema che di Matteo Renzi. Ironia della politica vuole che il degente d'oltreoceano debba scegliere tra i soli due leader della sinistra di cui, nel corso del tempo, si sia fidato e che, entrambi, lo abbiano ferocemente deluso.Per la verità del primo dalemone Silvio fu vittima. Massimino, fresca di elezione a segretario del partito, nominò Bossi «costola della sinistra» ad honorem e lo usò per sloggiare il Cavaliere da palazzo Chigi senza lasciargli nemmeno il tempo di disfare i bagagli. Due anni dopo, nel 1996, le cose stavano però diversamente.L'Ulivo aveva vinto le elezioni ma con meno voti della destra e al Senato tanto per cambiare ballava e traballava. Incombeva già da tempo immemorabile la necessità di rimaneggiare la carta e Max intravide la possibilità di cogliere due piccioni con una sola bicamerale. Lui a guidarla, Berlusconi e Fini (che in un primo momento avrebbero dovuto comparire ufficialmente come vicepresidenti) interlocutori privilegiati. Una "camera di compensazione" per mettere il governo in sicurezza da ogni agguato, illustrò ai suoi un D'Alema più che mai professorale, ma anche una via dignitosa per arrivare alla modifica della Costituzionale. Gli rinfacciarono subito e in coro di "legittimare Berlusconi". Rispose che se uno porta a casa milioni di voti sono gli elettori a legittimarlo. L'anticomunista numero uno d'Italia ricambiò la cortesia dispensando complimenti per l'uomo che cercava di cambiare e rendere democratico il mai disciolto Pci.Ma il guaio dei dalemoni, si sa, è che spesso sono troppo ambiziosi per non inciampare. La funzione costituente e quella più terragna di "camera di compensazione" erano destinate prima o poi a rivelarsi incompatibili. Successe quando si arrivò al capitolo più delicato, allora come oggi: la giustizia. Per Berlusconi era un passaggio tanto fondamentale quanto la forma di governo o quella della istituzioni. Per D'Alema addentrarsi in quella giungla avrebbe significato scatenare la rivolta nel suo stesso partito e squassare il governo. Sacrificò la Bicamerale e spezzò il cuore del socio d'Arcore.Sono passati quasi vent'anni, i baffi di D'Alema si sono ingrigiti, i neri capelli di Berlusconi si sono infoltiti ma il destino ha deciso di incrociare di nuovo le loro strade. Senza il semaforo verde di Berlusconi, il dalemone preparato per scalzare Renzi non ha nessuna chance. Nei sondaggi il Sì è dato in vantaggio a nord e tra gli ultrasessantenni: entrambe platee per le quali un'esposizione aperta di Berlusconi, un suo intervento televisivo nella rush finale della campagna, sarebbe probabilmente decisivo.In caso di vittoria del No nelle urne, la sponda di Arcore si rivelerebbe anche più importante. Si può infatti dare per certo che Renzi abbandonerebbe la guida del governo ma non quella del partito, con l'intento di candidarsi alle elezioni del 2018. Per scalzarlo D'Alema dovrebbe realizzare in tempi record sia la riforma elettorale che un avvio almeno di riforma costituzionale condivisa. Solo così dimostrerebbe che l'attuale segretario ha fallito per i suoi limiti un'operazione tutt'altro che impossibile e che la strada per il rinnovamento e la messa a punto di un sistema stabile passa per la sua rimozione.È probabile che D'Alema consideri possibile anche una sponda con Grillo, in fondo meno barbaro di quanto non fosse il Bossi "costola della sinistra" del 1994. Si può scommettere a colpo di sicuro che cercherà di verificare anche quel sentiero impervio, ma senza troppe speranze. Il partner numero uno, però, è e resterà Silvio Berlusconi. È lui che deve garantire la possibilità di varare una legge elettorale in tempi brevi. È lui che deve permettere a D'Alema di affermare che una riforma della Costituzione condivisa è a portata di mano.