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L’unico nome per il Quirinale a unire Movimento 5 Stelle e Pd è quello di Sergio Mattarella, che oggi ha ottenuto ben 166 preferenze pescate soprattutto tra le file dei due partiti di un centrosinistra dai contorni nebulosi. Peccato che a puntare sul presidente uscente, al momento, siano solo i ribelli dei rispettivi schieramenti. Le indicazioni di voto di Enrico Letta e Giuseppe Conte, infatti, sono chiare: scheda bianca. Anzi, i grillini preciseranno, ex post, di aver suggerito la bianca, lasciando però libertà di coscienza ai propri grandi elettori, come se l’elezione del Presidente della Repubblica fosse un tema etico. La realtà è che la coalizione e i singoli partiti che la compongono sono totalmente sfilacciati. Nessuno sembra in grado di controllare le truppe e soprattutto nessuno è in grado di avanzare controproposte di livello. E mentre Matteo Salvini annaspa bruciando nomi di candidati che neanche passano dall’Aula, il centrosinistra resta arroccato, gioca in difesa, limitandosi a bocciare i profili indicati dalla controparte. Conte e Letta giocano partite separate, evitano persino di convocare summit serali per fare il punto della situazione, e contribuiscono ad alimentare il clima di diffidenze reciproche. Soprattutto quando in serata si diffonde la voce di un fantomatico incontro avvenuto nel pomeriggio, nelle ore in cui l’avvocato del popolo avrebbe fatto perdere le sue tracce, tra lo stesso Conte e Salvini. Argomento di confronto: Franco Frattini. Il presidente del Consiglio di Stato ed ex ministro del governo Berlusconi sembra non essere affatto uscito di scena. Anzi, i leader giallo-verdi potrebbero pensare di forzare la mano e rimetterlo in campo, nonostante l’ostilità manifesta del Pd e di Italia viva, che con Renzi in serata twitta: «L’indecoroso show di chi ha scambiato l’elezione del Presidente della Repubblica con le audizioni di X Factor dimostra una sola cosa: bisogna far scegliere il Presidente direttamente ai cittadini. Stanno ridicolizzando il momento più alto della democrazia parlamentare», scrive l’ex premier, immediatamente spalleggiato dalle capigruppo del Pd l Debora Serracchiani e Simona Malpezzi, che dicono: «Siamo tornati al via, quello di Frattini è un nome già fatto e sul quale avevamo già espresso abbondanti perplessità. Auspichiamo che questa modalità di lanciare i nomi senza confronto sia finita. Noi siamo ancora in attesa». Se il dialogo sotterraneo Conte-Salvini fosse confermato, per il campo largo del centrosinistra sarebbe l’ultimo atto. Del resto, è risaputa la differenza di obiettivi tra Letta e il presidente del Movimento 5 Stelle: il primo ossessionato dalla stabilità e dunque dalla “protezione” di Draghi, il secondo convinto della necessità di sbarrare la strada del Colle al premier e magari tornare al voto anticipato. Un progetto, quello del leader pentastellato, contrastato non solo dal fronte dem, ma anche da Luigi Di Maio, sponsor pesante dell’ex Bce in casa cinquestelle. Il ministro degli Esteri lavora da tempo sotto traccia per favorire il trasloco di Draghi al Quirinale e per ottenere il risultato gioca di sponda con i ribelli 5S, sicuramente non disponibili a lanciare la volata del premier, ma ancor meno a meno interrompere anticipatamente la loro esperienza parlamentare. «Usare il presidente del Consiglio di Stato Franco Frattini, una carica istituzionale così autorevole, per spaccare la maggioranza di governo è un segno evidente che non c’è la volontà di trovare una soluzione per il Colle», commenta la viceministra all’Economia “dimaiana” Laura Castelli. «Non possiamo spaccare la coalizione con il centrosinistra, salterebbe anche il governo». E in questo gioco di veti, incontri e incastri impossibili spuntano quotidianamente nuovi nomi da sondare fuori dal Palazzo, visto che le urne restano comunque vuote. Così oggi sembravano in salita le quotazioni della direttrice del Dis Elisabetta Belloni, molto stimata a sinistra come a destra (piace molto a Fratelli d’Italia), prima che la sua candidatura venisse congelata per i “niet” di Salvini e non solo. Il limite di Belloni è il suo lavoro a capo dei Servizi sergreti, che renderebbe poco opportuno un passaggio al Quirinale, ma il suo nome resta comunque in campo, anche per la felicità di Di Maio che con l’ex Segretario generale della Farnesina ha lavorato per un po’ di tempo. «Si tratta di un profilo alto ma non giochiamo a bruciare nomi e soprattutto non spacchiamo la maggioranza di governo», dice il ministro degli Esteri, consapevole comunque della difficoltà di far accettare il suo nome alla maggior parte dei partiti. Il rebus del Quirinale sembra sempre più complicato. E forse, per evitare che vengano giù maggioranze e coalizioni, l’unica alternativa sarà convergere ancora su Mattarella.