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«Il Ppe? Una fogna», tagliava corto con l’usuale soavità Francesco Storace quando An puntava ad entrarci sotto la spinta di Gianfranco Fini. Era il 2002: politicamente secoli fa. Eppure il Partito popolare europeo – l’aggregazione continentale resa grande da giganti del calibro di De Gasperi, Adenauer, Kohl – continua ad essere al centro di un tanto sotterraneo quanto virulento scontro per accaparrarsene il controllo. Solo che adesso c’è perfino chi rimpiange la destra sociale dell’ex governatore del Lazio e quella più pettinata dell’ex vicepremier, visto che l’attacco è portato dai sovranisti nazionalisti alla Matteo Salvini che il Ppe vogliono espugnarlo per mutarne mappa genetica e costituency popolare. È in questa chiave che va letto l’incontro di ieri a Milano, in Prefettura, tra il ministro dell’Interno italiano e il premier ungherese Viktor Orban. Nei piani di Salvini, infatti, Orban deve fungere da grimaldello per svellere il chiavistello del partito che Frau Merkel continua a tenere ben saldo tra le sue mani. Nelle ultime elezioni di aprile, la coalizione incentrata sull’Unione civica ungherese Fidesz, capeggiata appunto da Orban, ha conquistato 133 dei 199 seggi in palio: chi non vorrebbe fare altrettanto? Secondo i dati del sito Linkiesta, in otto anni Orban ha aumentato il Pil di 11 punti e fatto crollare la disoccupazione dal 12 al 4 per cento. In compenso ha dato una stretta decisiva alla libertà di stampa e di associazione in una miscela di statalismo e liberismo selvaggio che fa venire l’acquolina in bocca a tanti dalle nostre parti, nonché costruito un muro di filo spinato lungo quasi 180 chilometri al confine con la Serbia. Oggi serve a impedire gli ingressi; chissà, magari domani – una volta conquista l’Europa e blindato i confini nazionali – può tornare utile a impedire espatri affrettati. Quanto sia pericolosa la tagliola sovranista di Orban nei santuari della politica Ue lo confermano le parole del capo dei liberali al Parlamento europeo, il gruppo nel quale mesi fa tentarono inutilmente di entrare i Cinquestelle italiani, Guy Verhofstadt: «Ha bullizzato universitá, giornali e Ong. Reso un criminale chi aiuta migranti. Ha invaso il potere giudiziario. Che altro deve fare per essere espulso dal Ppe?». La risposta è semplice: tutto quel che vuole, tanto il partito dei Popolari se lo tiene stretto perché ha bisogno dei suoi voti. Ecco dunque la contraddizione di chi ha sfilato a Milano per contestare l’incontro: proprio i più europeisti di tutti ( spesso in nome del loro tornaconto), ossia tedeschi e in subordine francesi, tollerano Orban consapevoli che detiene lo scettro del rapporto con il resto del gruppo di Visegrad: rompere con lui significherebbe troncare di brutto l’edificio Ue. Solo che quel tipo di smembramento è esattamente il disegno che accomuna il premier ungherese e il capo della Lega. Che infatti non a caso più d’uno vorrebbe veder iscritto al Ppe con tanto di adesione ufficiale. A quel punto cosa diventerebbe il Partito popolare europeo se la maggioranza finisse in mano ai sovranisti? Insomma la partita politica è enorme, ed enormi sono gli interessi in gioco. Per questo è fuorviante vedere nell’incontro di Milano solo una convergenza tattica o, del tutto superficialmente, un’esercitazione mediatico– muscolare anti Ue. In ballo c’è molto di più: c’è il controllo politico dell’Europa. Il risvolto italiano, poi, è particolarmente paradossale. I tanti del M5S, a partire dai capigruppo parlamentari, che criticano la mossa salviniana sono gli stessi che applaudono quando Luigi Di Maio piccona senza pietà i Palazzi di Bruxelles, minacciando perfino di tagliare i finanziamenti dovuti dall’Italia. Radere al suolo la Ue è il disegno sovranista– nazionalista: per impedirlo servono scelte in controtendenza con quelle ufficialmente assunte dal MoVimento. Ultima annotazione. Chi ama i fili del destino, invisibili ed inesorabili, non può che sogghignare di fronte al fatto che la Merkel parla il russo e viene dalla Germania comunista dell’Est: chi oggi vuole detronizzarla come Orban, è stato segretario dei giovani comunisti ungheresi nonché funzionario di partito; oppure frequentatore in gioventù del Leoncavallo nonché fondatore dei Comunisti Padani, come Salvini. È il vento del Nord. Anzi del Nord– Est. Le vendette, si sa, a sinistra sono fredde. Beh, a volte quel vento si trasforma in buran e le fa diventare gelide.