PHOTO
GIUSEPPE CONTE PRESIDENTE M5S
Su una cosa i duellanti Grillo e Conte sono d'accordo: il M5S è morto. Il leader del nuovo M5S ammette ma assicura che valori e principi sono transitati dalla creatura di Beppe alla propria. Il defenestrato denuncia invece la svendita proprio di quei valori e principi, sacrificati per dar vita a 'un partitino progressista'. L'Elevato, di conseguenza, medita di creare una nuovo Movimento con in cassaforte detti valori ma anche simbolo e nome. Lui stesso, probabilmente, sa per primo che si tratta però di una missione impossibile.
L'Avvocato conferma che invece il bagaglio ideale e ideologico è già al sicuro nelle sue mani ma in realtà teme che le bordate del fondatore e la prevedibile guerriglia legale erodano i suoi già molto assottigliati consensi. Significa che in realtà i due ormai acerrimi rivali concordano su un ulteriore punto: quello che Grillo definisce 'l'humus', l'istanza cioè che aveva permesso al M5S di decollare in tempi fulminanti, sia ancora presente e urgente. La sfida è su chi sia destinato a rappresentarla e come, o almeno a provarci.
La domanda inevasa è proprio questa: cosa sia stato il Movimento che il vecchio e il nuovo leader considerano defunto. Di certo non si è trattato, come molti sembrano propensi a credere, di una parentesi, chiusa la quale tutto torna come prima. E neppure di una effimera bizzarria storica, come il ben noto 'Uomo Qualunque' negli anni ' 40 del secolo scorso. Il M5S ha condizionato e orientato la politica italiana per un decennio, la metà della fase nella quale quel ruolo lo aveva svolto Silvio Berlusconi e già non è poco. Ha stravinto le elezioni politiche, è rimasto al governo per quattro anni in tre esecutivi diversi, ha determinato, sia pure dopo sciocche e gravi provocazioni, la fine anticipata della legislatura ed elezioni anticipate che, in quelle condizioni, non potevano che essere vinte dalla destra. Ha influenzato profondamente non solo il corso della politica in Italia ma anche la cultura politica del Paese. Nell'orazione funebre dovrebbe essere preso sul serio, come non si è fatto a sufficienza in vita, quando la formula vacua del ' populismo' aveva sostituito ogni tentativo di analisi.
Il M5S è stato il primo soggetto politico, e non 'antipolitico' come pure si è troppo spesso detto, nato e cresciuto come antagonista della democrazia rappresentativa. Non ha senso chiedersi se fosse più ostile alla Fi di Silvio Berlusconi o al Pd. Il nemico era la democrazia rappresentativa, della quale quei due partiti erano in quel momento i principali pilastri. Ma se fossero stati altri due partiti la musica non sarebbe cambiata. Per il Movimento il ceto politico in sé era il male assoluto. Grillo ha in realtà perfettamente ragione quando sostiene che la regola dei due mandati non era una fisima ideologica ma la chiave di volta del Movimento suo e di Gianroberto Casaleggio. Allo stesso modo, il M5S è stato il primo attore politico mediaticamente contemporaneo: non dava voce a soggetti sociali o a tendenze ideologiche ma al confuso risentimento che si esprime, e lievita, nel web e che, grazie al web, ha assunto un impatto impensabile sino a che quegli umori erano confinati nelle smadonnate da bar o nei microfoni aperti di Radio Radicale.
Il partito di Conte non può neppure ambire a ereditare quella corrente che non è probabilmente affatto esaurita per il fatto stesso di essere appunto un partito, con un suo ceto politico: elemento disciplinato della democrazia rappresentativa. Gli sconfitti di Grillo non possono perché hanno già mancato la prova, dopo aver dilagato negli anni 10.
E' probabile però che Grillo e Conte non sbaglino nel considerare ancora preziosa l'eredità di quella fase. Il Movimento ha veicolato una rivoluzione nella cultura politica che si è intrecciata con quella, ancora più significativa e longeva, di Berlusconi: la personalizzazione della politica, la riduzione dei partiti a eserciti del leader, la completa sovrapposizione, si direbbe in pubblicità, fra il testimonial e il prodotto commerciale.
La destra, un po' ovunque in occidente, è in postazione avvantaggiata nel tentativo di accaparrarsi quell'eredità: l'enfasi di Giorgia sulla natura underdog del suo partito non si deve solo al proverbiale vittimismo della premier ma anche, forse soprattutto, al potersi di conseguenza presentare come antagonista rispetto non all'intero ceto politico ma almeno a quello al potere da sempre. Anche lei è figlia ed erede della doppia rivoluzione che ha trasformato in trent'anni i cardini della politica in Italia, e in realtà non solo in Italia: quella di Berlusconi e quella del Movimento Cinque Stelle.