Che la premier sia allergica ai rimpasti, è ormai cosa risaputa. Tanto che, a quanto pare, anche sostituire una singola casella ministeriale per forza maggiore (come nel caso di Raffaele Fitto) rappresenta per Meloni un tale motivo di ansia, da far prendere quota l'ipotesi di uno spacchettamento delle deleghe del futuro commissario Ue tra sottosegretari già in carica.

Gli equilibri del centrodestra, a maggior ragione in questo momento, sono labili, e aprire anche un fronte sulla composizione dell'esecutivo, quando sono già aperti quelle delle nomine Rai e di altre controllate statali, potrebbe portare le turbolenze oltre il livello di guardia, per tacere della concorrenza tra alleati per piantare almeno una bandierina sulla manovra.

Per questo Giorgia Meloni ha sposato la linea della resistenza a oltranza del ministro, che dopo l'incontro di un'ora e mezza che si è tenuto nel pomeriggio a Palazzo Chigi, ha licenziato una nota per ribadire «la verità delle mie affermazioni: mai un euro del ministero, neanche per un caffè, è stato impiegato per viaggi e soggiorni della dottoressa Maria Rosaria Boccia che, rispetto all'organizzazione del G7 Cultura, non ha mai avuto accesso a documenti di natura riservata».

Sangiuliano, attestandosi sulla linea del Piave, si assume dunque un rischio, di fronte alle proporzioni che sta assumendo la vicenda che vede coinvolto il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e la sua presunta collaboratrice e al pressing sempre più intenso delle opposizioni per ottenere un chiarimento del diretto interessato. L'inquilina di Palazzo Chigi aveva verosimilmente avviato una serie di riflessioni che includevano la possibilità di chiedere all'ex-direttore del Tg2 un passo indietro. Questo non è avvenuto, ma resta il fatto che sullo sfondo rimane una persona che promette ogni giorno rivelazioni documentate, in grado di smentire la linea difensiva del Collegio romano, e di riflesso della presidenza del Consiglio. Questo mal si concilia con l'appressarsi del G7 della Cultura, inizialmente previsto a Pompei (città natale di Boccia) e ora trasferito a Positano dal 19 al 21 settembre.

La consistenza del presunto scandalo, occorre dirlo, non è così vasta, se confrontata ad altre vicende che hanno già coinvolto altri membri dell'esecutivo, ma la specificità del caso Sangiuliano è che potrebbe fatalmente offrire una ribalta internazionale ai suoi detrattori. Dall'inizio del suo mandato, Meloni sta lavorando con affanno per allontanare i pregiudizi delle cancellerie europee sul personale politico del suo partito o comunque facenti riferimento alla destra. Un riflettore dei media globali su questa storia, che presta il fianco ai peggiori stereotipi forestieri da operetta o da commedia scollacciata sul nostro paese e sulla sua classe politica, è ritenuto tra le mura di Palazzo Chigi più deleterio – ad esempio - della vicenda che vede coinvolta la ministra del Turismo Daniela Santanchè, meno appetitosa dal punto di vista mediatico.

E poi c'è un fattore intollerabile dal punto di vista di Meloni, vale a dire il rischio (già sperimentato) di essere sbugiardata davanti a un elettorato italiano che, come insegna l'esperienza, è sensibile a pochi argomenti, tra i quali le raccomandazioni, i privilegi e lo sperpero di denaro pubblico per soddisfare i propri “sfizi”.

Ecco perché lo spazio di manovra per uscire dall'assedio di media e politica, per Sangiuliano, sta diventando sempre più angusto, e ormai prevede anche un passaggio parlamentare: tutti i partiti di opposizione stanno chiedendo al ministro di riferire in aula, i rispettivi leader di dimettersi, mentre qualcuno ha già fatto partire delle petizioni online per portarlo verso questa scelta. Il passaggio successivo, abbastanza scontato, è la mozione di sfiducia, un'arma spuntata ma che, in questa fase contribuirebbe a compattare un campo largo alle prese con veti incrociati e incompatibilità tra leader.

Nel caso, per ora allontanato, di un'abdicazione da parte del ministro, vi sarebbe la questione del suo rimpiazzo. La logica e il buonsenso suggeriscono che al posto di Sangiuliano vada un profilo simile, vale a dire un esponente di area e non un tesserato di FdI, come l'attuale direttore del Maxxi Alessandro Giuli (che non a caso è in cima alla lista di possibili sostituti), ma non è escluso che la scelta possa cadere su un politico con un profilo meno intellettuale e più “burocratico”, meno tendente alle esternazioni e più sobrio dell'attuale inquilino del Collegio Romano.

Una soluzione di questo tipo portebbe essere accettata dagli alleati, anche se, una volta insediatosi Fitto a Bruxelles, l'eventuale riassegnazione di tutte le deleghe di quest'ultimo a sottosegretari di stretta osservanza meloniana potrebbe far storcere la bocca agli alleati, soprattutto a Salvini, in conclamata “sofferenza” sul fronte Rai e con una sottosegretaria alla Cultura (Lucia Borgonzoni) che farebbe carte false per essere promossa a ministro. Le altre candidature, secondo i rumors, potrebbero essere lo scrittore Pietrangelo Buttafuoco e un altro ex-direttore del Tg2, Mauro Mazza.