L’ordine della premier era stato secco: “Voltare pagina”. Solo a questo doveva servire il dibattito di in Aula. La stessa premier ha scelto di non presentarsi, neppure per ascoltare i suoi ministri, non tanto per paura quanto per derubricare l’intera vicenda a materia tecnica, dunque di competenza dei ministri direttamente interessati, e non politica, come sarebbe automaticamente diventata se a riferire fosse stata lei, come ha reclamato invano l’opposizione.

Della difesa “tecnica” in questione si è occupata l’avvocata e senatrice Giulia Bongiorno, che difende tutti i quattro indagati eccellenti dalla premier in giù. Ma cosa ci sia dietro quella pagina da voltare il prima possibile lo ha chiarito più di chiunque altro il ministro della Giustizia Nordio, seguito peraltro da quasi tutti gli esponenti della maggioranza che hanno preso la parola nelle due Camere. C’è lo scontro finale con la magistratura, uno showdown che stavolta la maggioranza intende portare fino in fondo.

Nordio ha impostato la sua intera relazione su una critica durissima alla Corte penale internazionale, accusandola di aver provocato con il suo errore tecnico (una confusione sul periodo in cui sarebbero stati commessi i crimini di Almasri se dal 2011, come registrato in alcuni atti o dal 2015 come riportano altri atti). A proposito delle toghe internazionali però il guardasigilli non è andato oltre la superficialità e di fatto l’incompetenza, per una volta senza adombrare il dolo, cioè il complotto. Ma alla fine dell’intervento è passato all’attacco rude. «Ai politici può essere perdonato il non leggere le carte, ma non a chi per mestiere dovrebbe leggerle. Mi ha deluso l’atteggiamento di una parte della magistratura che si è permessa di sindacare l’operato del ministro senza leggere le carte. Se questo è il loro modo sciatto di intervenire il dialogo diventa molto, molto più difficile».

Poi Nordio ha risposto direttamente al procuratore di Napoli Gratteri, che in tv lo aveva “ringraziato” per aver compiuto il miracolo di compattare l’intera magistratura: «È la magistratura che ha compattato la maggioranza e se c’erano delle esitazioni ora siamo più uniti che mai. Forse pensano di rallentare così il percorso delle riforme ma andremo avanti sino alla riforma finale». Non è una dichiarazione di guerra perché la guerra c’era già. È l’annuncio di un’offensiva appunto “finale”, in una battaglia dove non si faranno prigionieri.

Con toni diversi per ciascuno, praticamente tutti gli interventi della maggioranza hanno bersagliato il procuratore Lo Voi per aver messo sotto inchiesta «non uno, non due ministri ma l’intero governo con la premier». Del resto quello di Nordio non è stato un colpo di testa personale. La linea da assumere in aula era stata calibrata e discussa nei giorni scorsi, la stessa premier è stata più che soddisfatta della prestazione dei suoi ministri. Dunque quel che bisogna attendersi ora è uno scontro tra poteri dello Stato che non prevede possibile tregue e nel quale, né da una parte né dall’altra, ci sarà niente di cavalleresco.

La differenza tra le continue battaglie o scaramucce fra destra e magistratura ai tempi di Silvio Berlusconi e l’Armageddon in corso oggi è tutta qui: il Cavaliere tuonava e minacciava ma stando sempre molto attento a che la situazione non degenerasse fino a trasformarsi in uno di quei combattimenti dai quali un solo contendente può uscire in piedi. Lo faceva perché questo era il suo carattere, poco incline alla radicalità anche negli scontri, ma soprattutto perché, con una quantità di processi aperti e a rischio, arrivare davvero a livelli estremi sarebbe stato anche per lui molto pericoloso.

Il caso di Giorgia è opposto. Quando ripete di «non essere ricattabile» la premier non fa solo propaganda. È convinta di non avere scheletri di sorta nell’armadio e quindi di dover temere niente sul piano personale. Sospettosa, per non dire paranoica, per natura è anche convinta che una parte della magistratura miri realmente a sabotare il suo governo impedendole di raggiungere i risultati. Il contesto tira nella stessa direzione: la magistratura è oggi molto più debole e meno popolare di quanto non fosse all’epoca di Silvio. Il leader di Arcore doveva fare i conti con le resistenze all’interno della sua maggioranza, a partire dai consigli sempre molto quotati di Gianni Letta, tipo pochissimo battagliero. Il comando di Meloni è più saldo e su questo fronte gli alleati più che frenarla la spingono. Stavolta non finirà a tarallucci e vino.