Niente premier e, per un pomeriggio intero, niente diretta tv dalla Camera. Ma la conferenza dei capigruppo del Senato decide diversamente da quella di Montecitorio e dopo qualche ora anche i deputati di adeguano, così anche la trasmissione televisiva sarà bicamerale. Riferiranno sull'increscioso caso Almasri i ministri della Giustizia Nordio e degli Interni Piantedosi. Gli stessi che avrebbero dovuto affrontare il Parlamento la settimana scorsa ma che avevano invece rinviato dopo l'informazione di garanzia sull'indagine che li riguarda, come riguarda la premier e il sottosegretario Mantovano.

L'opposizione avrebbe voluto che a occuparsi dell'incombenza fosse Giorgia Meloni, come sarebbe stato giusto e corretto dal momento che la principale responsabile della gestione dell'arresto del torturatore libico, o più precisamente della sua scarcerazione, è lei. Ma la premier non ha alcuna voglia di collegare il suo volto a una vicenda dalla quale uscire a testa alta è impossibile. Il meglio che si possa dire delle scelte del governo è che sono state assunte sotto ricatto. Il che però non è precisamente encomiastico per una leader che ripete da anni di "non essere ricattabile".

Anche senza Meloni in aula l'informativa di domani segna uno scacco netto per lei e per tutto il governo. L'obiettivo era tenere molto bassa la vicenda, evitare a ogni costo che finisse sotto gli occhi di tutti, illuminata impietosamente dai riflettori. Un po' perché governo e servizi si sono mossi molto maldestramente, un po' perché tenere un caso così clamoroso in sordina non era possibile, è finita esattamente all'opposto.

Il governo è stato costretto ad arretrare metro dopo metro. Nordio, il principale responsabile della gestione disastrosa della faccenda, doveva evitare a tutti i costi l'aula. E' stato costretto a ripensarci dal clamore crescente della vicenda. Dopo l'iscrizione nel registro degli indagati della premier e dei ministri, l'opzione preferita, che sino a due giorni fa pareva certa, era evitare di esporli incaricando qualcun altro dell'informativa. Giorgia deve essersi resa conto del disastro d'immagine che una simile disordinata fuga avrebbe comportato.

Alla Camera, nella capigruppo di oggi, Forza Italia e Lega si erano opposti alla diretta tv ma al Senato non ci sono stati veti. Anche in questo caso deve aver pesato la consapevolezza di aver restituito un'immagine devastante ma anche, probabilmente, un calcolo più sottile: permettendo la diretta a palazzo Madama la destra non potrà essere accusata di volersi nascondere ma le telecamere spente a Montecitorio impediranno ai leader del centrosinistra di tenere banco e muovere le loro accuse di fronte al grande pubblico.

Su cosa diranno domani i due ministri vige il segreto assoluto. Comunque non faranno una bella figura. Anche se nessuno esce davvero bene da questa scabrosa storia. Non la Corte penale internazionale, il cui ritardo nello spiccare il mandato di cattura contro Almasri desta inevitabilmente il sospetto di uno sgambetto intenzionale ai danni del governo italiano. Non il ministro della Giustizia, che ha evitato di far pervenire il suo parere alla Corte d'appello in tempo per evitare il rilascio dell'aguzzino e non ha ordinato il riarresto subito dopo la scarcerazione, come avrebbe potuto fare. Non il ministro degli Interni Piantedosi, che si è mosso con scomposta fretta per portare l'accusato di crimini contro l'umanità al sicuro a casa sua prima che lo scandalo deflagrasse e gli impedisse di farlo.

Non la procura di Roma, che ha sì iscritto mezzo governo nel registro degli indagati ma avrebbe potuto disporre il riarresto immediato e si è guardata bene dal farlo. Non la Corte d'appello, la cui sentenza sulla scarcerazione doveva evidentemente essere nota a governo e intelligence ancor prima di essere emessa, dal momento che l'aereo destinato a riportare in Libia Almasri si è mosso con ore d'anticipo su quella sentenza. Non l'opposizione, che giustamente accusa la premier di aver preso una decisione sotto ricatto ma glissa sullo strumento di ricatto per non ammettere di aver siglato per prima il turpe accordo con i capi di Almasri, quello in base al quale possono torturare, segregare e uccidere purché tengano i migranti lontani dalle coste italiane. Non la premier, soprattutto, che in tutta evidenza deve aver seguito la crisi a ogni passo salvo negare l'evidenza e nascondersi dietro alibi ridicoli.

Proprio perché tutti, nessuno escluso, hanno la loro parte di responsabilità in un caso che copre di vergogna non la premier o il governo ma l'Italia, probabilmente il dibattito in Parlamento finirà con molto rumore e pochissima sostanza.