Giorgia Meloni ha ormai adottato una strategia di vittimismo simile a quella di Donald Trump. È questa l’accusa lanciata dall’ex segretario del Partito Democratico, Pier Luigi Bersani, in un’intervista a La Stampa, in cui critica duramente la reazione della premier alla vicenda Almasri.

«Meloni è passata alla fase due del vittimismo, quella che ricorda il modello Trump», ha dichiarato Bersani, riferendosi al video in cui la presidente del Consiglio ha annunciato di essere stata informata dalla Procura di Roma sul caso. «Costruirsi nemici immaginari, attaccarli con falsità evidenti e rivolgersi alla telecamera con espressione minacciosa: è esattamente la strategia di Trump», ha aggiunto.

L’ex leader dem ha ricordato che negli anni molti ministri sono stati sottoposti a procedimenti davanti al Tribunale dei ministri senza fare scenate pubbliche. «Volete un esempio recente? Conte e Speranza, che in piena pandemia finirono sotto la lente della magistratura per un esposto presentato da esponenti di Fratelli d’Italia. Eppure non hanno mai reagito in quel modo», ha sottolineato.

Per Bersani, dietro la mossa della premier ci sarebbe una strategia ben precisa: «Accendere polemiche e, in un video di due minuti, infilare quattro o cinque falsità sostanziali per distogliere l’attenzione e non pagare il conto politico di quanto accaduto». Alla fine, però, resta un fatto: «Un torturatore è stato rimandato a casa con un volo di Stato. Capisco l’importanza dei rapporti con la Libia, ma ci deve essere un limite».

Riconoscendo che i governi di centrosinistra hanno aperto per primi il dialogo con Tripoli, Bersani ritiene che questa fosse l’occasione giusta per fissare dei paletti chiari. «Era un momento storico per dire alla Libia: vogliamo collaborare, ma non a qualsiasi costo. Invece si è fatto il contrario. Se accettiamo di rimandare i migranti nelle mani di un criminale, diventiamo criminali anche noi», ha affermato.

«Inaccettabile ignorare le accuse di un tribunale internazionale»

Bersani ha poi criticato la narrazione della premier, respingendo l’idea che dietro la vicenda ci sia un complotto internazionale. «A questo punto manca solo che l’Onu si stia organizzando per complottare contro la Meloni!», ha ironizzato. «Penso che la Corte penale internazionale abbia questioni ben più rilevanti di cui occuparsi».

L’ex segretario dem ha anche replicato all’ipotesi, avanzata dalla destra, secondo cui Romano Prodi sarebbe stato in qualche modo legato all’avvocato Li Gotti. «Immagino lo stupore di Romano, credo che non abbia mai scambiato una parola con lui in tutta la sua vita. Ma ormai funziona così: si costruisce un bersaglio e lo si trasforma in un nemico immaginario», ha detto Bersani.

Infine, l’ex segretario del Pd ha allargato il discorso alla giustizia, evidenziando le vere criticità del sistema. «I cittadini non vedono alcuna soluzione ai problemi concreti: oggi per ottenere un’udienza ci vuole più tempo di una TAC, senza neanche poter ricorrere al privato. Gli organici sono sovraccarichi di nuovi reati e non si propone alcuna risposta seria», ha denunciato.

Per Bersani, il dibattito sulla separazione delle carriere nella magistratura è secondario rispetto alle vere urgenze: «Si parla di un tema che riguarda appena lo 0,2% dei magistrati, mentre il vero obiettivo sembra essere un altro: creare un 'superpoliziotto' che passi il tempo ad accusare. Ma questo sistema rischia solo di indirizzare la magistratura su determinate priorità politiche», ha concluso.