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Gianni Cuperlo (D) e Andrea Orlando durante l'assemblea nazionale di Sinistradem, Roma, 4 marzo 2017
Da candidato “di comodo” (Renzi dixit) a scialuppa di salvataggio del Pd. Andrea Orlando si propone non solo come futuro segretario ma anche come punto fermo in un campo democratico in rapido smottamento. E a riconoscergli questo ruolo è ora anche Gianni Cuperlo. Il leader di Sinistradem si rivolge così all’assemblea del suo gruppo, in corso oggi a Roma: «Io vi chiedo e propongo di sostenere Andrea Orlando nella sua candidatura alla segreteria». A queste parole la platea balza in una clamorosa standing ovation. Cuperlo continua e indica nel ministro della Giustizia « La figura oggi capace di mettere in sicurezza il progetto del Pd, è un punto di equilibrio». Poi si rivolge direttamente all’interessato, presente in platea: cita Obama e il suo intramontabile “Yes, we can”, ma poi chiosa: « Andrea, lasciamo l'inglese da parte, anche perché non abbiamo noi in questo partito il copyright di quella lingua, ma ricordati che ‘se po’ fa’…’». Non sembra ma è una citazione: l’alfiere della sinistra interna si richiama al suo vissuto giovanile, a un film di James Bond visto al cinema, e alla geniale esclamazione di un altro spettatore seduto vicino a lui quel giorno, che dopo aver assistito a tutte le peripezie dell’agente 007 commentò appunto «se po’ fa’». Ebbene, «tu, Andrea», dice Cuperlo, «ricordati che Bond salta giù dai monti, attraversa le rapide, ma c’è sempre uno che ti dirà ‘se po’ fa’». Insomma il simpatico arzigogolo intellettual-trash sembra voler rassicurare il guardasigilli sul fatto che nonostante le sue mirabolanti, presunte prodezze, Matteo Renzi è contendibile, basta non farsi suggestionare». È vero che Cuperlo sull’ex premier è tutt’altro che agiografico: in un’intervista al Fatto quotidiano uscita stamattina respinge tra l’altro l’accusa di fare sciacallaggio sulle sventure giudiziarie dell’ex premier-segretario e rilancia: «Quanto emerge in queste ore è una mortificazione per tutti noi». Poi all’assemblea di Sinistradem completa il discorso: « La stagione alle nostre spalle si sta consumando» e l’alternativa alla precedente leadership «si compirà». Sarà dunque Andrea Orlando a incarnare il nuovo corso. Ma non secondo una semplice rivendicazione «di sinistra» contro il riformismo renziano: è lo stesso ministro della Giustizia a dirlo ai convenuti di Cuperlo, con un discorso che ribadisce l’idea del pacificatore che ricompone una casa in frantumi: «Voglio ricostruire il Pd», argomenta, «oggi è premiato chi usa le parole dei populisti, ma io non userò toni populistici perché il consenso costruito in quel modo è un veleno che ti tiene prigioniero». E ancora: «Non voglio essere un rappresentante della sinistra del Pd, io sono un uomo di sinistra ma quello che voglio fare è ricostruire il Partito democratico». Si divincola dall’icona di mero oppositore interno: ricorda di essere stato «dimesso» tanti anni fa dalla Fgci di Genova perché «considerato troppo di destra». La chiave è distintiva dal renzismo ma protettiva nei confronti dell’esperienza Pd: il tratto del candidato Orlando è sempre più chiaro. Era emerso anche ieri nella lunga intervista a Repubblica tv. In cui tra l’altro il guardasigilli si era anche rifiutato di esprimere valutazioni sull’inchiesta Consip: «Considerato il mio ruolo», quello di ministro appunto, «ogni parola potrebbe apparire un’ingerenza». Poi però aveva aggiunto: «Le stagioni politiche non si chiudono per le inchieste giudiziarie ma con una battaglia politica». Mentre l’ex premier prova a non farsi schiacciare dall’indagine romana, il ministro diventa un’opzione rassicurante: dopo il sostegno ottenuto da un terzo dei deputati dem, e prima di incassare il plateale endorsement di Cuperlo, ieri aveva raccolto anche l’appoggio esterno di un uomo chiave del Campo progressista di Pisapia, quel Bruno Tabacci che gli augura di vincere le primarie e che ne apprezza «il tratto inclusivo e gentile». Si associano gli ex Psi che nel Pd formano la minicorrente Socialdem, Marco Di Lello e Giuseppe Lauricella. Ma è soprattutto la trasmigrazione di ex renziani pur non visibilissimi a spiegare che oggi il guardasigilli pare il candidato in grado di rappresentare al meglio la continuità del partito. Lui dice di volerlo ristrutturare: «Vedo il Pd a rischio», è la frase dell’intervista a Repubblica tv con cui il ministro corrobora l’idea di una sua indispensabilità strutturale. «Non voglio essere la sinistra interna, ma fare in modo che non salti l’intero progetto», appunto. E per questo si deve lavorare «per tenere insieme tutte le anime». Non ci sono appelli per D’Alema e Bersani, «per i dirigenti che già sono andati via» e di cui non vuol essere la quinta colonna, ma per chi ancora è dentro. Il richiamo si basa, certo, su una correzione di rotta che «ritrovi le motivazioni originarie del Pd, come forza di centrosinistra capace di dare risposte ai temi che affliggono il Paese, a cominciare dalla crescita, drammatica e profonda, delle disuguaglianze sociali». La forma dovrà essere «capillare», come fa eco Andrea Martella, il deputato dem che della campagna di Orlando è coordinatore. Il ministro annuncia metodi nuovi di reclutamento e organizzazione. «Non presento liste nei circoli dove si verificano anomalie», dice a proposito dei casi in Campania e Piemonte. Certe degenerazioni sono conseguenza «di come non è stato costruito il partito». La rottamazione «non ha prodotto una nuova classe dirigente». A quella ci sia arriva con la fatica e la formazione. In ogni caso alla connotazione sociale andrà abbinata l’altra decisiva rottura con la linea Renzi: «Si eviti di rispondere al populismo a colpi di populismo» . Orlando dice di candidarsi «per passione e solidarietà», non per input di Napolitano: «Con lui ho un rapporto forte, ma non mi ha sollecitato». Certo è tra i molti che ora vedono nel guardasigilli un riparo nella tempesta.