Il primo segnale c'era stato a margine della commemorazione in Parlamento dell'assassinio di Giacomo Matteotti, quando in una nota ufficiale Giorgia Meloni aveva additato senza ambiguità gli “squadristi fascisti” come responsabili del fatto di sangue perpetrato ai danni del deputato socialista che osò denunciare in aula le violenze e i condizionamenti delle camicie nere in occasione delle elezioni che spianarono la strada alla dittatura, nel 1924.

Con la lettera inviata ai dirigenti di Fratelli d'Italia circa l'incompatibilità tra nostalgici fascisti e la militanza nel partito, però, la presidente del Consiglio ha fatto molto di più, se considera la contingenza politica sia a livello nazionale che europeo. Il primo fattore importante è che la lettera è stata un gesto meditato, articolato ed esaustivo nei suoi contenuti, arrivato dopo una reazione impulsiva che nei fatti la presidente del Consiglio ha corretto, riconoscendola come controproducente.

Quando è stata incalzata dai cronisti sui contenuti dell'inchiesta, che presentava più di un esponente delle organizzazioni giovanili di FdI indulgere in slogan nazi- fascisti, razzisti e antisemiti, Meloni ha avuto un riflesso aggressivo nei confronti della stampa, preferendo gettare la croce sul metodo “da regime” del giornalista infiltrato piuttosto che sulla gravità dei comportamenti.

Una settimana dopo è arrivato un cambio di rotta non scontato, se si pensa che solo tre giorni fa il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi aveva aderito all'impostazione originaria meloniana secondo cui tra le cose poco commendevoli c'era il modo con cui era stata condotta l'inchiesta. Nel frattempo c'era stata però una lettera in cui un ministro che la premier tiene in grande conto (Gennaro Sangiuliano), aveva toccato le corde giuste, manifestando solidarietà alla senatrice a vita Liliana Segre rispetto all'allarme lanciato da quest'ultima sulla recrudescenza dell'antisemitismo e sul rischio di dover partire una seconda volta dall'Italia. E' stato verosimilmente questo il momento in cui Meloni ha rotto gli indugi e ha deciso a sua volta di affidare a una lettera la richiesta definitiva di estromettere dal suo partiti i nostalgici del Ventennio e delle leggi razziali. Un moto sincero quanto si vuole, ma che non prescinde da considerazioni

di opportunità politica: la prima è l'esigenza di stabilizzare il consenso ottenuto da FdI alle Politiche e alle Europee. Gli ultimi 15 anni della storia politica (basti pensare a Renzi, Di Maio e Salvini) insegnano che il consenso – da noi come altrove – è diventato estremamente volatile, e a via della Scrofa non ignorano che se il partito non darà segnali chiari di inclusività agli elettori moderati che hanno dato fiducia alla premier, il risultato sarà fatalmente quello di ritornare allo zoccolo duro post- missino, galleggiante sulla linea del quattro per cento.

Per questo Meloni ha insistito sull'” universalità” di Fratelli d'Italia, ben sapendo che scaricare un due per cento di “camerati” potrebbe regalare al “partito dei patrioti” una percentuale duratura vicina al 30 per cento. C'è anche una ragione più immediata, legata al percorso parlamentare e soprattutto post- parlamentare del premierato, riforma in cima ai pensieri di Palazzo Chigi: condurre una campagna referendaria con la zavorra fascista ancora ben visibile non sarebbe certo un buon viatico e fornirebbe all’opposizione argomenti efficaci.

Poi, si diceva, c'è la questione europea, anch'essa di primaria importanza, soprattutto in questa fase. Con Macron notevolmente indebolito dal combinato disposto delle Europee e delle legislative francesi e il cancelliere tedesco Scholz in grande difficoltà, tra gli argomenti usati dalle due maggiori cancellerie d'Europa per ostacolare le mire della premier su un commissario di peso e una vicepresidenza c'è proprio l'ambiguità sul passato fascista dell'Italia. Ora che si appresta a nascere un gruppo a destra di Ecr sotto l'egida di Viktor Orban e con l'avallo entusiasta di Salvini, l'interesse di Meloni è quello di corroborare l'immagine rassicurante che conta di dare anche con l'eventuale appoggio esterno alla rielezione di Ursula von der Leyen. In attesa, ovviamente, di sapere se lunedì prossimo Rassemblement National sarà a Matignon.