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Certo, a lui, ex amici, beneficiati vari e semi- alleati ora possono rimproverare di tutto: dalla rivoluzione liberale mancata fino al fatto che doveva andare a letto presto la sera, come Bob De Niro in C’era una volta in America. E naturalmente che doveva nominare un erede politico. Ma soprattutto che dovrebbe ritirarsi a fare “il nonno”. Seguendo l’adagio del luogo comune di un’“italietta” rimasta un po’ paesana, mentre nelle democrazie occidentali imperversano leader settantenni e ottantenni. Ma Silvio Berlusconi, sceso in politica quasi sessantenne e che in politica è da meno anni di Matteo Salvini, e forse anche meno di Matteo Renzi, è sempre qui, pronto ora a scendere in campo per le Europee. Pur essendo già da tempo anche “Storia”, avendo fondato il bipolarismo ed essendo, così, stato decisivo per dare un equilibrio allo stesso sistema decapitato da Mani pulite, che però “risparmiò ex comunisti ed ex sinistra Dc”. Fu un bipolarismo anomalo, rettosi su odio- amore, antiberlusconismo e berlusconismo. Eppure, leggendo Fabrizio Cicchitto nella sua Storia di Forza Italia, 1994- 2018( Rubettino, con prefazione di Francesco Verderami), anche chi, come la cronista, quegli eventi li ha scritti termina le 400 pagine dicendosi che forse manco un elefante avrebbe resistito. Che forse è un po’ da luogo comune la spiegazione secondo la quale Berlusconi avrebbe resistito solo perché è un uomo molto ricco. Non avrebbe retto senza la forza interiore, il “sentirsi sempre vincente”, il “carisma” che l’autore del libro gli riconosce.
L’assalto concentrico fu scatenato contro di lui fin dal primo giorno. Una caccia grossa da parte di certa magistratura, del “circo mediatico”, di un centrosinistra mai liberatosi dal giustizialismo e dal vizio della delegittimazione dell’avversario, e anche di alleati da lui stesso “sdoganati”. Come scrive Verderami, Berlusconi «ridette la parola a tutto un mondo che non l’aveva», ovvero la destra. All’ “elefante” furono appioppati capi di imputazione che per numero e tipo di accuse quasi manco Al Capone, per dire, ebbe, come ha scritto Paolo Delgado per Il Dubbio. Chiaro che non è solo una vittima e che di errori ne ha commessi. Cicchitto, ex capogruppo del Pdl ( fusione tra Forza Italia e An, per poi tornare ad essere solo Forza Italia) alla guida per anni di oltre 200 deputati non glieli risparmia, glieli cantò anche in faccia. Però l’ex capogruppo chiude il libro tributandogli “l’onore delle armi”. Scrive: «La decisione di Berlusconi di presentarsi alle elezioni europee rappresenta un gesto di coraggio, al limite del salto nel buio. Esso deriva dalla presa di coscienza che senza un gesto esemplare è a rischio la stessa tenuta di Forza Italia come soggetto politico autonomo». Osserva: «Non è affatto certo che questa iniziativa riuscirà a rivitalizzare la sua leadership e il suo partito. Per altro verso, però, la decisione di Berlusconi di presentarsi alle Europee mira a dar voce a un’area moderata, liberale, riformista che non si riconosce nella sinistra italiana, ma nemmeno nel sovranismo al limite del razzismo di Salvini, e che è in totale contrapposizione con il M5s, caratterizzato da un estremismo infantile, autentico pericolo per l’Italia». Conclusione: «Al netto di tutti gli errori, non si può fare a meno di rendere a Berlusconi l’onore delle armi, anche tenendo conto dell’oggettivo ruolo liberal- democratico che la sua discesa in campo nel 1994 ha svolto».
Come un crono- storico Cicchitto, coadiuvato dal giornalista Alessandro Fonti, riproietta l’intero film del “romanzo azzurro”. Con tutti contro uno, che già nel gennaio 1994 quando fece il famoso discorso “l’Italia è il Paese che amo” aveva ben nove procedimenti a suo carico: «Dopo che decise di fare politica ( lui, fino ad allora imprenditore incensurato, ndr) totalizzò da parte della Procura di Milano diciassette inchieste nel 1994 e ventitré nel 1995». Poi, il “rosario” si infittì di altri numerosi e velenosi grani. Fino ai nostri giorni. Quasi impossibile nel percorso di guerra dei suoi governi separare la politica dalla giudiziaria.
Così come non si può separare anche la sua storia da quella della sua creatura Fi. Cicchitto riporta aneddoti gustosi in cui lui e Denis Verdini per due volte quasi vennero alle mani. In uno di questi duelli, per poco non finiti a botte, fu lo stesso Cav a mettersi fisicamente in mezzo ad Arcore nel 2013 per dividerli. Forza Italia, movimento- partito per la stessa definizione del suo fondatore e quattro volte premier è “monarchia e anarchia”. Quella stessa Fi, che nasce dai 26 manager di Publitalia, dal “sole in tasca” guidati da Marcello Dell’Utri, passa poi da partito accusato di essere di plastica ( in realtà ogni manager aveva referenti già da allora sul territorio) a partito radicato quasi in modo scientifico da Claudio Scajola. Fino all’arrivo di Sandro Bondi come coordinatore con Cicchitto nel ruolo di vice. Per spiegare una certa propensione del Cav al “divide et impera”, Cicchitto ricorda di quando «il presidente mi chiedeva: con Sandro come va?». E lui da vecchia volpe politica al Cav rispondeva: «Molto bene, Silvio». Poi, però Cicchitto in modo malizioso aggiunge che nell’aria percepiva «una certa delusione» del capo azzurro. Secondo Cicchitto, Berlusconi nelle elezioni del 2018 sottovalutò «la forza dirompente di Salvini».
Quanto alle famose “ragazze” l’ex capogruppo svela di aver avvertito “Silvio”: «Guarda che una eminente personalità di sinistra mi ha avvisato che dovresti cambiare comportamenti». «Ma lui non mi dette retta», aggiunge l’ex capogruppo. Scrive Cicchitto, autore anche dell’Uso politico della giustizia, adottato come manuale dal Cav: «In quel perverso attacco che gli fu fatto non c’era alcun reato…». Ma forse mai per nessuno come per il Cav «è valso lo slogan sessantottino secondo il quale il personale è politico».