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«Con la spinta al cambiamento del voto del 2016 il Movimento Cinque stelle poteva porsi alla testa di una rottura con il passato, indispensabile a Roma e al paese intero. Non è stato così. Non hanno retto alla sfida che li vedeva protagonisti al governo delle grandi città». Un’amarezza che pur non cede alla rassegnazione ammanta le parole dell’urbanista Paolo Berdini, assessore all’urbanistica e ai lavori pubblici del Comune di Roma nella giunta dell’attuale sindaco Virginia Raggi da luglio 2016 a febbraio 2017. Nel suo ultimo libro, Roma, polvere di stelle ( Alegre), traccia un bilancio impietoso dell’attività di governo della Capitale portata avanti dal MoVimento Cinque stelle – senza tralasciare un ampio e rigoroso excursus sulle criticità e problematiche accumulatesi durante i governi precedenti –, svelando retroscena inediti e proponendo possibili percorsi per uscire dall’impasse.
Berdini, lei sostiene che l’esperienza di autonomia e trasparenza della giunta civica si sia interrotta con le dimissioni del magistrato Carla Romana Raineri... La cosa sconcertante è stata la totale mancanza di trasparenza. Nella riunione della giunta municipale successiva alle dimissioni della Raineri cercai in ogni modo di comprendere i motivi che avevano portato ad una scelta così scellerata. Non ebbi alcuna risposta se non imbarazzati silenzi. Non ci fu insomma neppure il coraggio di difendere le proprie scelte. Difendevano con il silenzio decisioni prese in altri luoghi, al riparo dalla trasparenza e dalla condivisione.
Nel MoVimento Cinque stelle vi sarebbe una carenza democratica? Lei parla a proposito dell’ingerenza di Grillo nella questione Olimpiadi... Il no alle Olimpiadi venne preso sul blog di Grillo mentre era noto a tutti che mi stavo spenden- do per costruire un progetto utile per la città. Sono contrario agli eventi straordinari, che hanno portato sempre a gravi dissesti nelle casse pubbliche ( si pensi ai mondiali di nuoto a Roma o alle Olimpiadi invernali di Torino), ma ero cosciente del rischio di una crisi finanziaria. Si trattava di piegare l’evento straordinario in ordinarietà per tentare di risollevare Roma. Potevamo riuscirci, ma la democrazia non è di casa nel mondo a cinque stelle
Gli sgomberi – fra cui quelli di piazza Indipendenza e via Monfortani – testimoniano le evidenti problematicità dell’emergenza abitativa. Perché l’alternativa proposta dalla giunta Raggi agli sgomberi non era praticabile? In realtà non c’è stata una proposta condivisa per tentare di impedire gli sgomberi. Nel gennaio 2017 consegnai in giunta un breve documento programmatico che tentava di mettere riparo ad una situazione molto compromessa e pericolosa sotto il profilo della convivenza civile. Ebbi risposte tanto insolenti quanto incapaci di comprendere la gravità del dramma abitativo. Per quanto riguarda l’associazioni- smo, l’origine della attuale follia, che vorrebbe addirittura lo sfratto della Casa internazionale delle Donne del Buon Pastore, era avvenuta durante la giunta Marino, quando si decise improvvidamente che “il mercato” doveva governare ogni cosa, anche le locazioni di associazioni no profit e meritorie che in molti casi sono le uniche alternative al deserto sociale che esiste in città.
Che grado di implicazione registrano le grandi banche nel riassetto urbano della Capitale? Lei sottolinea il coinvolgimento di Goldman Sachs e altri, nonostante il parere negativo di una voce significativa come quella di Ferdinando Imposimato, nell’operazione stadio... Gli istituti di credito sono stati un potente fattore di stimolo nella fase della crescita urbana che ha fin qui caratterizzato la storia recente delle nostre città. Oggi siamo in una fase molto differente. Tutti gli istituti di credito sono molti esposti per aver erogato finanziamenti alla fase trionfante del mattone selvaggio e ora hanno una quantità enorme di crediti inesigibili. Pur di rientrarne in possesso stanno condizionando – come nel vergognoso caso del cosiddetto stadio della Roma – la vita amministrativa e il futuro della città. Quello straordinario personaggio di Ferdinando Imposimato, scomparso nel gennaio scorso, ha fatto una decisa battaglia contro la vicenda stadio.
Per quanto riguarda la giustizia, la giunta Raggi rappresenta un fenomeno di discontinuità rispetto al retaggio di “Mafia Capitale”? E’ indubbio che la correttezza della gran parte dei consiglieri comunali sia un buon viatico per chiudere quella pagina vergognosa. Ma l’onesta personale non basta, purtroppo. Dovevano anche essere affrontati i nodi dei poteri che condizionano da sempre la città. Trovo sconcertante che, ad esempio, nel mondo del commercio siano ritornati in auge i Tredicine e che nell’urbanistica romana ci sia stato un capovolgimento completo delle promesse elettorali. L’assessorato all’urbanistica dopo le mie dimissioni è diretto dalla medesima cultura che ha portato a tutti gli scandali urbanistici degli ultimi anni.
Ci può parlare del condizionamento della vita amministrativa locale da parte degli organi d’informazione e della sua esperienza diretta in merito? Una volta per tutte, lei non è un collaboratore di Caltagirone? La stampa è un fondamentale elemento di controllo e di denuncia – se ce ne sono le condizioni – della vita delle amministrazioni pubbliche. Nella mia esperienza, insieme a tanti esempi di indipendenza e professionalità, sono stato oggetto di attacchi personali vergognosi come quello che lei cita. Solo per essermi opposto alla realizzazione della speculazione dello stadio della Roma, è stata diffusa la notizia che facessi gli interessi di altri operatori immobiliari, come ad esempio Francesco Gaetano Caltagirone. A rincarare la misura ci ha pensato Il Tempo, che ha asserito che io avessi già avuto in passato rapporti professionali ed economici con quel gruppo. Purtroppo per loro non è vero ed anzi Francesco Gaetano Caltagirone mi ha portato davanti al Tribunale con l’accusa di diffamazione. Evidentemente per questi “giornalisti” si tratta del gioco delle parti.
Sulla questione dei mancati rimborsi che sta interessando il MoVimento 5 Stelle a livello nazionale: punto nodale o strumentalizzazione elettorale? Dietro a vuoti slogan dobbiamo prendere atto che sussistono tutti i vizi della vecchia politica. Il vero problema è che se vogliamo riformare il modo di gestire la cosa pubblica, dobbiamo avere alle spalle una solida cultura sociale e di governo. Elementi che mi sembra manchino del tutto nella nebulosa dei 5 stelle.
Quali potrebbero essere, a suo avviso, possibili percorsi virtuosi per salvare Roma dal declino? Roma attende da troppi anni la svolta culturale che può salvarla: rimettere al primo posto il governo pubblico della città ed occuparsi delle tante emergenze che stanno soffocando la capitale. Ne cito solo tre. La questione del risanamento delle periferie è ferma dal momento in cui abbiamo abbracciato la cultura della città privatizzata e oggi quei luoghi soffrono di un grave abbandono. C’è poi la questione dell’emergenza abitativa che riguarda almeno 10mila famiglie: Roma non può continuare con le occupazioni ma deve costruire case pubbliche. Infine, per non soffocare nel traffico, dobbiamo urgentemente pensare ad una rete di tramvie che guardino alla periferia. E invece stiamo discutendo da cinque anni dello stadio della Roma...