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«Mi pesa parlarne ma sì, avevo un rapporto di tipo affettivo con la dottoressa Boccia». Gennaro Sangiuliano, in prima serata, rilascia una lunga intervista al direttore del Tg1 Gianmarco Chiocci nel tentativo di chiudere per sempre la telenovela Boccia, ribadendo che però non è ricattabile «perché, lo riaffermo, mai un euro del ministero è stato speso per la dottoressa Boccia. Ho pagato io sulla mia carta di credito personale».
Poi il ministro ha anche rivelato di essere andato a Palazzo Chigi da Giorgia Meloni rimettendo il proprio mandato nelle mani della premier, che però ne ha respinto le dimissioni. Alle parole di Sangiuliano, secondo un canovaccio ormai collaudato, ha immediatamente replicato sui social Maria Rosaria Boccia, la quale, nell’imminenza della messa in onda dell’intervista aveva pubblicato un secchiello di pop-corn e poi ha commentato con la frase «cominciamo a dire bugie».
In attesa di ulteriori sviluppi, c’è da dire che la giornata era iniziata con la solenne tirata d’orecchie di Meloni ai suoi: «Noi stiamo facendo la storia»,aveva affermato all’Esecutivo nazionale di FdI convocato a Montecitorio, «e dobbiamo esserne tutti consapevoli. E questo non prevede né pause né soste, ma tanto meno può consentire errori e passi falsi. Tutti noi abbiamo un compito molto più grande delle nostre aspettative e dei nostri desideri, e dobbiamo essere capaci di tenerlo ben presente ogni giorno» La cosa che più di tutte ha fatto arrabbiare la presidente del Consiglio è che la storia del ministro e della sedicente consulente sta monopolizzando i media, a dispetto di alcuni dati o snodi che, obiettivamente, depongono a favore dell'operato dell'esecutivo, come la trattativa per le deleghe da assegnare a Raffaele Fitto nella prossima Commissione, oppure i dati macroeconomici o sull'occupazione che vedono il nostro paese, per una volta, non rincorrere gli altri big del continente.
Un ragionamento che Meloni avrebbe fatto egualmente, con la mente a quello che, ad esempio, è accaduto l'ultima notte di capodanno al deputato Emanuele Pozzolo o all'inchiesta di Fanpage sull'organizzazione giovanile del partito, ma che dopo la telenovela Boccia-Sangiuliano è divenuta urgente. La spina nel fianco più dolorosa, dunque, per la premier sembra essere sembra il personale politico, fatta eccezione per i collaboratori più stretti, e la questione sta assumendo un aspetto decisamente penalizzante, se si tiene conto della concomitanza col G7, che sta proiettando le beghe del governo sulla ribalta internazionale.
Proprio per questo, nel bacchettare severamente leggerezze come quelle in cui è inciampato il ministro della Cultura, Meloni lascia trasparire anche un fondo di amarezza, quando afferma che «gli italiani credono in noi più di quanto a volte sembriamo crederci noi». Anche perché, la relazione di Meloni, nella veste di leader di FdI, era piena di contenuti politici sensibili che sono passati in secondo piano, a causa della contingenza. Un aspetto, accanto ai successi già rivendicati in politica internazionale e nazionale e ribaditi ieri alla Camera, appare però degno di nota: una certa volontà di riprendere in mano le redini del partito, dopo le citate vicende che ne hanno messo in discussione la qualità e la responsabilità dei quadri. Le uscite improvvide (come quella del presidente della commissione Cultura di Montecitorio Federico Mollicone), i malumori espressi a mezza bocca dal “gabbiano” Fabio Rampelli, l'espulsione del deputato Andrea De Bertoldi per un presunto conflitto d'interesse, dopo che quest'ultimo aveva apertamente denunciato la mancanza di democrazia interna e suggerito di togliere la fiamma del simbolo, sono sintomi di fibrillazione che la premier ha colto e che non vuole lasciar crescere.
«L’anno scorso», ha sottolineato, «abbiamo avviato la stagione congressuale e rinnovato la classe dirigente provinciale. Alcuni unitari, alcuni di confronto, ma tutti si sono svolti in un clima di grande civiltà e coesione interna». «Quest’anno», ha proseguito, «propongo di svolgere i congressi comunali e municipali, così da rafforzare ulteriormente il partito nel territorio e scongiurare il rischio che i dirigenti si sentano inamovibili e tendano a chiudersi per difendere rendite personali, invece che il merito». Il che, nel lessico della politica, significa che l'intenzione è quella di procedere a un check sull'affidabilità e sulle capacità della sua truppa, facendo affidamento sul ruolo ricoperto dalla sorella Arianna, nemmeno lei risparmiata dall’estate rovente della Repubblica dei gossip.