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IMAGOECONOMICA
Se non ci fosse il fronte interno, per Giorgia Meloni il panorama sarebbe costellato da rose e fiori. Mentre infatti per la premier continuano le occasioni di riconoscimento internazionale, che nel giorno del suo compleanno hanno incluso anche un siparietto col leader albanese Edi Rama inginocchiato al suo cospetto con un presente ad Abu Dhabi, la situazione domestica (versante Nordest) inizia a divenire decisamente preoccupante.
Le durissime parole pronunciate dal governatore veneto Luca Zaia nei confronti degli alleati a Venezia, infatti, non potevano non avere delle conseguenze, che nell'immediato si sono limitate alla replica ferma ma pacata del meloniano Luca De Carlo (uno dei “papabili” per la Regione) ma nel day after hanno raggiunto i picchi di conflittualità temuti dalla presidente del Consiglio. Nel suo stile, il capogruppo di Forza Italia Maurizio Gasparri ha fatto salire la temperatura rispondendo a brutto muso a Zaia, che si era scagliato contro i parlamentari di lungo corso che avversano il terzo mandato, affermando che si “sfamano da 30 anni” in Parlamento. Sentendosi evidentemente chiamato in causa, Gasparri ha commentato in modo ironico: «Troveremo un modo», ha detto, «per sfamare Zaia, che ha fatto l’amministratore locale, il ministro. Lo sfameremo».
Dopo aver assestato la stoccata, l'ex-ministro è tornato a spiegare le ragioni per cui, allo stato, appare impossibile un compromesso su questo punto in maggioranza: «Noi siamo favorevoli al fatto che anche in Italia, per i sindaci delle grandi città, per i presidenti delle regioni, si mantenga la legge attuale, che non è contro Zaia o contro De Luca. È un principio che esiste in molte democrazie occidentali. Altro discorso è un consigliere regionale o comunale o un parlamentare che non governano una grande realtà. Poi la discussione sul candidato governatore in Veneto, se sarà di Fratelli d’Italia, della Lega o di Forza Italia, è fisiologica e avviene in tutte le elezioni e in tutte le coalizioni».
Anche se il braccio di ferro sembra essere tra FdI e Lega, Forza Italia non rinuncia ad avanzare una sua candidatura per il Veneto, nella persona dell'ex-leghista ed ex-sindaco di Verona Flavio Tosi, che non sembra però avere grandi chances, anche in virtù del fatto che il suo partito governa già quattro regioni. Naturalmente, l'attacco di Gasparri non poteva cadere nel vuoto, ed è stato il responsabile veneto del Carroccio Luciano Sandonà a incaricarsi di prolungare la polemica a distanza, sottolineando che «Luca Zaia non ha certo bisogno di essere sfamato» e che la Lega «non accetta lezioni da Forza Italia e da Maurizio Gasparri». Poi Sandonà si chiede «come mai non è stata impugnata la Legge regionale elettorale del Piemonte che nel 2023 ha aperto la strada ai quattro mandati del governatore forzista Alberto Cirio? Noi della Lega in Veneto rispediamo al mittente anche le ultime pesanti provocazioni, finanche offensive a livello personale, lanciate da chi siede in Parlamento da molte legislature».
A Venezia, dal canto suo, il diretto interessato prosegue sulla linea iperidentitaria magnificando la cultura e il dialetto veneti, coerentemente all'affermazione di tenere la sua regione in cima alle priorità, davanti alla Lega. Al di là della bagarre dialettica, appare ormai assodato che, dal punto di vista politico, è su questo versante che si concentrano le minacce più concrete alla stabilità dell'esecutivo e alla coesione della maggioranza, che Meloni dovrà disinnescare con grande cura, anche perché si intrecciano con l'altra delicatissima questione del possibile referendum sull'Autonomia.
Ma chi sembra più in difficoltà, al momento, è Matteo Salvini, che deve andare al tavolo della trattativa sotto la pressione di una parte consistente di un partito inquieto, in un momento peraltro a lui decisamente sfavorevole a causa anche dei disagi sui trasporti. Domani è prevista una riunione del Consiglio federale che tra i punti all'ordine del giorno avrà proprio la questione veneta, ma sullo sfondo per il vicepremier rimane il tema della leadership e del congresso.
In una nota ufficiale, via Bellerio ha smentito che il segretario abbia registrato anche i loghi con Alberto da Giussano e senza la dicitura “per Salvini premier” per evitare eventuali operazioni ostili da parte di transfughi leghisti o avversari: «La procedura di registrazione dei simboli», si legge nella nota, «è stata avviata nel 2018, come atto dovuto di un partito che vuole ufficializzare la proprietà dei propri loghi e come infatti fanno tutti i soggetti politici, e solo recentemente si è conclusa dopo passaggi tecnici e burocrazia. Tutte le ricostruzioni alternative», conclude, «sono fake news».