La Lega fa buon viso a cattivo gioco o almeno ci prova. Persino Luca Zaia, che col collega lombardo Fontana è quello che all'autonomia differenziata ci teneva di più si finge soddisfatto, «È stato fissato un principio, l'autonomia non è anticostituzionale». Contenti lui e Calderoli... La realtà è che la riforma leghista esce svuotata dal tritacarne della Consulta. Non bisogna prendere i leghisti per sprovveduti. Non si aspettavano la promozione a pieni voti. Sapevano che ci sarebbero stati interventi e anche significativi.

Le reazioni a caldo, la soddisfazione ostentata per una sentenza che non tira un tratto di penna sull'autonomia differenziata, erano già pronte. I 7 interventi della Corte vanno però oltre le attese del Carroccio. A quasi tutti i passaggi bocciati si può rimediare in un modo o nell'altro. Persino alla definizione dei Lep che passa da decreto governativo rapido, un dpcm come si usava ai tempi del Covid, a una legge con i controfiocchi da discutere e votare in Parlamento. Sarebbe un ostacolo quasi insormontabile se il Parlamento avesse davvero un ruolo. Quasi non ce l'ha più e se mai si arriverà al premierato di Giorgia non ce l'avrà più affatto.

Ma il rilievo principale, quello che proibisce di "devolvere" alle Regioni la competenza su intere materie, tipo la Sanità o l'istruzione, e consente solo passaggi di competenza specifici all'interno di quella materia è una pietra tombale per l'idea leghista di autonomia. Al Carroccio non resta che fingersi contento oppure riconoscere la sconfitta nella partita principale di sempre. Tra le due non si sa cosa è peggio e i leghisti hanno scelto la prima senza esitare, anche perché al leader, a Salvini, in fondo l'autonomia interessa poco. La ha sostenuta perché questo chiedevano gli azionisti di maggioranza del nord e per avere la sua brava bandiera ma senza vera passioni. Non è Umberto Bossi e neppure Bobo Maroni. Fi invece festeggia sul serio. Quella legge la detestava e neppure provava davvero a nasconderlo. È un partito del sud, ormai o per ora, ci si può figurare con quanta gioia vedesse venire al mondo una riforma destinata a far imbestialire proprio gli elettori del meridione, e per motivi ben concreti, mica le solite questioni di principio. Tajani già si metteva le mani tra i capelli prevedendo, a ragion veduta, di doversela vedere con la rivolta dei pezzi da 90 del Sud, a partire dal governatore della Calabria e suo nemico quasi giurato Occhiuto. Quelli erano pronti a schierarsi con gli abolizionisti nel probabile referendum e sai poi che lo sentiva il Salvini furioso. In più la sentenza conforta la posizione moderata degli azzurri, o almeno di una congrua parte di loro, che insistevano per un “supplemento di riflessione”, insomma per evitare la corsa a perdifiato per rivedere con maggior cura e attenzione il testo. Potranno dire, «Lo avevamo ben detto», anzi già lo dicono, e se sarà necessario su altri fronti faranno valere il precedente. Ma per Giorgia il discorso è meno semplice. Nella sostanza i giudici costituzionali le hanno fatto un regalone. Ai Fratelli l’autonomia dispaceva e punto: vengono da una cultura opposta. Sapevano e lo sapeva soprattutto la leader che quella riforma assai poco amata sarebbe costata voti, forse anche parecchi. Sapeva anche, la presidente, che il rischio di frizioni fuori di controllo, tra i due partiti suoi alleati, era soprattutto su quel terreno scivoloso. Molto meglio che a risolvere il contenzioso sia stati i guardiani della Carta. Poi c'era il referendum e anzi forse c'è ancora, non è chiaro. Quella prova rischiava di raggiungere il quorum, impresa proibitiva ma che tuttavia qualche volta, sull'acqua e il nucleare, è stata realizzata. Quando di mezzo ci sono gli interessi concreti gli elettori sono molto più pronti a recarsi alle urne. Ma anche senza quorum la campagna elettorale avrebbe lasciato strascichi pesanti, per un bel pezzo si sarebbe comunque parlato solo di quanto la legge imposta dalla Lega penalizzasse il sud. Non la miglior propaganda immaginabile. Ora, se anche il referendum si svolgesse comunque ed è improbabile, sarà comunque depotenziato.

Le possibilità di raggiungere il quorum, già limitate, si avvicinano ora allo zero. C'è il rischio, anzi, che l'ordalia referendaria, senza quorum raggiunto, si trasformi in una sorta di rivincita. Meglio, per l'opposizione stessa, chiuderla qui e incassare subito la cospicua vincita. Tutto bene dunque per la premier, che ha visto i giudici disinnescare la principale mina sul percorso del suo governo? In realtà no perché la politica non è solo sostanza ma anche e anzi sempre di più immagine e su quel piano l'esito è disastroso. La prima tra le grandi riforme annunciate con fanfare squillanti e gran sventolio di bandiere dalla destra è stata miseramente affondata dalla Corte. La seconda nonché "madre di tutte le riforme", il premierato, conviene farla slittare tanto da evitare il referendum alle prossime elezioni, altrimenti, in caso di sconfitta, è gioco partita incontro e senza rivincita. Il premierato verrà approvato dal Parlamento ma per il referendum se ne riparla nella prossima legislatura, dopo aver vinto, negli auspici di Giorgia, anche le prossime elezioni.

Resta la separazione delle carriere, sempre che anche lì l'errore commesso, forse con perfida sapienza, attribuendo al sorteggio la nomina non solo dei togati ma anche dei laici del Csm non faccia saltare tutto e sarebbe un incidente più che increscioso. Se non sarà affondata quella riforma passerà presto e il referendum si svolgerà entro questa legislatura. Fra le tre riforme è quella che Giorgia, fino a pochi mesi fa, progettava di tenere nel cassetto per un tempo indeterminato ma comunque lungo. Che sia quasi rimasta la sola in campo, almeno in questa legislatura, dice molto. Moltissimo.