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Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni durante l’incontro con il presidente della Repubblica di Finlandia Alexander Stubb a Palazzo Chigi a Roma
Se qualcuno avesse avuto dei dubbi residui sul fatto che, a Palazzo Chigi, pensino che le turbolenze maggiori per la stabilità possano arrivare dal percorso attuativo dell'Autonomia, ormai dovrebbe averli fugati del tutto.
Il video di un quarto d'ora in cui Giorgia Meloni, col Tricolore alle spalle, aveva voluto rassicurare gli elettori sul fatto che non si tratta di una legge “spacca- Italia” e aveva accusato l'opposizione di terrorismo psicologico a colpi di fake news aveva già reso evidente – come excusatio non petita – una certa ansia, dopo l'approvazione definitiva accolta dalla Lega con toni trionfalistici.
Ora le uscite a dir poco tiepide di esponenti di indiscussa obbedienza meloniana, associate all'ormai sedimentata fronda azzurra dentro Forza Italia, proiettano la questione in una dimensione più seria sul fronte della maggioranza, con la macchina dei referendum ormai avanzatissima sull'altro versante, come dimostra la presentazione ufficiale del quesito stamani in Cassazione.
La prima spallata l'ha data il ministro della Protezione civile Nello Musumeci, che inizialmente aveva speso parole positive per la riforma, dicendo che avrebbe spinto il Sud verso la sfida della modernizzazione, salvo ritrattare a pochi giorni di distanza, attaccando il governatore veneto Luca Zaia per la scelta di avanzare subito la richiesta di maggiore autonomia per le materie non sottoposte alla definizione dei Lep, tra cui la stessa Protezione civile. Il fatto che Musumeci abbia criticato l'attivismo di Zaia, dopo essere stato il governatore di una Regione a statuto speciale, ha irritato non poco il Carroccio, tanto che ne è scaturita una polemica tra i due. Ma non basta, perché un altro meloniano doc e governatore in carica del Lazio Francesco Rocca, ha inviato dei messaggi piuttosto tiepidi sul ddl Calderoli, affermando di non volersene servire e adducendo come motivo gli ingenti debiti del Lazio nei confronti del governo.
La faglia interna al centrodestra tra la Lega, madre del provvedimento, e gli scettici di FdI e Forza Italia si sta dunque allargando, anche perché la pattuglia meridionale azzurra sta traendo dalla freddezza di alcuni meloniani nuova linfa per le proprie rimostranze. Il presidente calabrese Roberto Occhiuto non ha certo mollato la presa, dopo aver dato indicazione ai deputati a lui più vicini di non votare il provvedimento, e ieri è tornato sull'argomento affermando che «per i Lep non c’è neppure un euro e, visto che abbiamo ancora davanti due anni per definire i Livelli, non capisco perché la riforma sia stata votata, nell’ultimo passaggio parlamentare, di notte e in fretta». Non pago di aver ribadito la propria contrarietà, Occhiuto ha aggiunto che l'Autonomia «non è considerata una priorità dall’elettorato del centrodestra e trova oggi, fra i cittadini, forte opposizione al Sud ed un consenso molto più limitato al Nord rispetto a qualche anno fa».
Nel tentativo di tamponare la situazione, Antonio Tajani ha annunciato ufficialmente l'istituzione dell'Osservatorio del partito sull'Autonomia, che era stata anticipata qualche giorno fa. Ne faranno parte, tra gli altri, i governatori azzurri, la ministra delle Riforme Elisabetta Casellati e i capigruppo, ma è chiaro a tutti ( per primi a Occhiuto e ai suoi) che si tratta di un'iniziativa poco più che simbolica e che non potrà incidere in alcun modo sulle modalità di applicazione della legge. Per giunta, sul piano delle perplessità è uscito alla scoperto anche il presidente ( forzista) della Regione Basilicata Vito Bardi, recentemente rieletto.
Nel Carroccio, per il momento, prevale la prudenza e, a parte la replica piccata di Zaia a Musumeci, non si segnalano episodi di palese nervosismo. Il dato politico però non può passare inosservato, e cioè che non potendo evitare la sua approvazione, FdI e Fi stanno comunque ponendo dei problemi di merito che non potrebbero pesare sulla strada della messa a terra del provvedimento, soprattutto per quello che riguarda la definizione dei Lep, che andrà fatta con una serie di decreti legislativi. Nessuno lo dice apertamente, ma una delle migliori armi di dissuasione, in questo senso, per la Lega è rappresentata dal premierato.
Dopo il primo via libera a Palazzo Madama, la riforma più cara a Meloni approda in questi giorni alla Camera per completare nei prossimi mesi la prima delle due letture necessarie ( senza contare il referendum confermativo). In un iter così lungo e faticoso e proprio per questo soggetto a mille trappole o rallentamenti da parte dell'opposizione, la lealtà della Lega risulterà fondamentale per raggiungere l'obiettivo, ma a sua volta questa dipenderà dall'atteggiamento degli alleati sull'attuazione dell'Autonomia.