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PIERANTONIO ZANETTIN, POLITICO
Intercettazioni. Il tema dei temi. Il crocevia fra lo strapotere dei pm e il megafono mediatico messo per decenni a loro disposizione. Ieri quel tema è stato riletto, dall’aula del Senato, con una decisione che potrebbe essere derubricata a minimalismo normativo solo da uno sguardo superficiale: è stata approvata ( con gli 83 voti favorevoli del centrodestra e di Italia viva, i 49 contrari delle altre opposizioni e un solo astenuto) la proposta di legge, firmata dal capogruppo Giustizia di Forza Italia Pierantonio Zanettin, che impone un limite massimo di 45 giorni per le captazioni giudiziarie. Un provvedimento tanto contenuto nell’ampiezza ( appena due articoli) quanto dirompente sul piano dei principi: mette fine alle proroghe “facili” concesse ogni 15 giorni dai gip alle Procure, a meno che, come recita il rivisitato terzo comma del articolo 267 del codice di rito, “l’assoluta indispensabilità delle operazioni per una durata superiore sia giustificata dall’emergere di elementi specifici e concreti, che devono essere oggetto di espressa motivazione”.
In pratica il pm, qualora dopo le prime due proroghe bisettimanali non abbia trovato alcunché, dovrà arrendersi senza pretendere di proseguire a oltranza. Devastante? Lesivo della lotta al crimine? Proprio no, se ci si riferisce al contrasto di mafia e terrorismo: l’unico altro articolo della legge Zanettin prevede, per tali reati, un’eccezione, e lascia inalterata l’attuale disciplina. Eppure dai banchi dell’opposizione arrivano anatemi. In particolare dal Movimento 5 Stelle. Che scaglia i propri fulmini prima dell’avvio della discussione pomeridiana a Palazzo Madama. Con una nota diffusa in mattinata, la capogruppo pentastellata in commissione Giustizia Ada Lopreiato fornisce un’interessante quanto rivelatrice lettura del dibattito: «Il ddl Zanettin riduce le intercettazioni a una sorta di prova della fortuna: la probabilità di trovare le prove di condotte illecite sarà ridotta al lumicino e in modo del tutto casuale».
Ma in effetti la logica probabilistica evocata dalla parlamentare contiana rivela alla perfezione l’idea che il fronte giustizialista ha delle attività captative: affidarsi appunto al calcolo statistico secondo cui prima o poi, a furia di tenere sotto controllo telefonate, messaggi e ogni genere di conversazione, qualcosa, una pur labile traccia che giustifichi magari le manette, emergerà. Solo che una simile logica ha una definizione ben precisa: pesca a strascico. Ed è l’approccio con cui i pm e la loro tifoseria, inclusi partiti come il M5S, si occupano di diritto penale da lustri.
Ieri il centrodestra è invece andato dritto per la propria strada. Unito, a cominciare da Fratelli d’Italia, a dispetto delle presunte perplessità attribuite al partito di Giorgia Meloni in virtù di una battuta estiva di Andrea Delmastro, che aveva definito “draconiano” il limite dei 45 giorni. Notizia tutt’altro che marginale, per il programma giustizia della maggioranza e del ministro Carlo Nordio, che ha sostenuto con convinzione il provvedimento. Il primo sì alla legge Zanettin, che ora passa alla Camera, ha ottenuto, come detto, anche il sostegno di Italia viva. Matteo Renzi è intervenuto personalmente in Aula proprio dopo i pentastellati, e in particolare dopo un altro senatore del Movimento, l’ex pg di Palermo Roberto Scarpinato. Il magistrato passato allo scranno parlamentare ha parlato di «vero e proprio favoreggiamento del crimine» e di «disarmo unilaterale dello Stato». Renzi gli ha replicato: «Ho assoluto rispetto per le posizioni diverse, ma trovo inaccettabile il tono del dibattito: non si può accusare di abdicare al contrasto del crimine chi ritenga di dover prevedere un limite per le intercettazioni, in coerenza con quanto enunciato dalla Corte di Cassazione, che parla di inutile sacrificio dei diritti, e dalla Carta costituzionale. Non si può dare per scontato che chi intercetta abbia sempre ragione e che i cittadini siano potenziali delinquenti». Applausi anche dai banchi della maggioranza.
Alcune recriminazioni pentastellate non sono sembrate insignificanti. Sempre Lopreiato ha difeso, senza esito, l’emendamento con cui il suo gruppo avrebbe voluto escludere dalla soglia dei 45 giorni anche le fattispecie legate alla violenza di genere, «in particolare per i casi di reticenza della vittima». Ma è appunto la convinzione con cui i senatori di Fratelli d’Italia pronunciano il loro sì, a pesare più di tutto.
Dalle parole del capogruppo Giustizia meloniano, Gianni Berrino, il quale trova «strano ritenere che si possa violare la libertà di italiani innocenti», alla senatrice Giovanna Petrenga, che invoca la «tutela del diritto di difesa», fino al discorso appassionato di Sergio Rastrelli, che della commissione Giustizia è segretario e che ricorda: «L’inviolabilità delle comunicazioni, la loro libertà, il valore assoluto di quel diritto sono stati sanciti dai nostri costituenti con una doppia barriera: riserva di legge e riserva di giurisdizione». E rispetto a quest’ultima, in particolare, nota Rastrelli, negli ultimi anni si è assistito a un «allentamento pericoloso». Sono le proroghe «a stampino» di cui parla persino il dem Giovanni Bazoli, peraltro contrario alla scelta, a suo giudizio opinabile, di individuare il limite in 45 giorni. Ma con le norme approvate ieri, quel sì incondizionato dei gip non è più possibile.