PHOTO
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO GIORGIA MELONI
L’intenzione di partecipare al comizio bolognese del centrodestra a sostegno di Elena Ugolini, probabilmente, c'era, ma il fatto che l'incontro coi sindacati sulla legge di Bilancio sia durato molto più del previsto, in fin dei conti, a Giorgia Meloni, non deve aver dispiaciuto più di tanto. Gli esiti del faccia a faccia con Cgil e Uil, infatti, erano abbastanza prevedibili, con le due sigle citate che hanno confermato lo sciopero generale del prossimo 29 novembre. Quello che non era prevedibile, invece, è cosa sarebbe potuto accadere attorno alla location del comizio nel capoluogo emiliano, l'hotel Savoia Regency (dove non sono mancati dei presidi di protesta), dopo gli strascichi polemici degli scontri tra polizia e manifestanti di sabato scorso, nella stessa città.
Ciò non ha impedito alla presidente del Consiglio di tornare su ciò che è accaduto e replicare duramente ad alcune dichiarazioni di esponenti del centrosinistra emiliano romagnolo - in primis il sindaco di Bologna Matteo Lepore, che ha accusato il governo di aver mandato le “camicie nere” in città - anche in ottica elettorale: «L'Emilia Romagna», ha detto, «è una delle ultime roccaforti della sinistra. Non stupisce come il clima si sia surriscaldato: lo fanno sempre quando hanno paura di perdere il potere». «Ho letto una nota del sindaco di Bologna», ha proseguito, «che diceva che il governo ha mandato le camicie nere a Bologna, è la carta della disperazione della sinistra: quando non hanno più argomenti si giocano la carta dell'avversario impresentabile. Diffidate di chi ha una faccia in pubblico e una in privato. Perchè il sindaco di Bologna in privato mi chiede cortesemente collaborazione, in pubblico mi dà della picchiatrice fascista». «Se davvero crede che io sia una picchiatrice fascista», ha concluso, «non dovrebbe chiedermi collaborazione».
Una staffilata, la premier, l'ha assestata anche al leader della Cgil Landini, che ha «incitato alla rivolta sociale con toni senza precedenti». Gli scambi al vetriolo, che hanno avuto il loro culmine nell'accusa da parte di molti esponenti di centrodestra ai partiti di sinistra di avere un atteggiamento accondiscendente coi manifestanti violenti dei centri sociali (che il leader leghista Matteo Salvini vorrebbe chiudere in quanto popolati da “zecche rosse”), sono peraltro proseguiti anche nella giornata di ierial di fuori del comizio. A Lepore aveva anche replicato in modo molto duro il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi, che si è detto “stupefatto” e il ministro della Difesa Guido Crosetto ha definito “vergognose” le parole del sindaco. Inoltre, nelle vie bolognesi hanno fatto capolino nella mattinata di ieri dei manifesti raffiguranti Meloni e la ministra dell'Università Anna Maria Bernini.
In un clima del genere, dunque, un collegamento remoto e non un intervento in presenza da parte della presidente del Consiglio può certamente aver contribuito a non creare le condizioni per nuovi scontri di piazza, in questo rush finale di elezioni regionali molto delicate. Nel comizio unitario di ieri pomeriggio, seppure con modulazioni differenti, anche gli altri leader del centrodestra hanno fatto riferimento agli scontri di sabato in chiave critica contro le forze di centrosinistra: «Questa sinistra», ha affermato Tajani, «è sempre più spostata a sinistra, sta perdendo il centro. Non esiste più un centro nel centrosinistra. Per questo noi diciamo agli elettori ex- democristiani, ex- socialisti delusi dalla sinistra di scegliere il vero centro che è Forza Italia».
«Perché», ha proseguito Tajani, «nessuno ha preso le distanze da ciò che è accaduto, nessuno ha preso le distanze su un'aggressione alle forze dell'ordine e nessuno ha preso le distanze sull'aggressione verbale al presidente del Consiglio, e nei confronti del ministro Bernini? La violenza sta caratterizzando sempre più questa campagna elettorale ma noi non ci faremo intimidire».
Come era prevedibile, è stato però Salvini quello che ha spinto maggiormente sul tasto della polemica contro la sinistra, dopo gli avvenimenti di sabato. Dopo aver reiterato gli attacchi ai magistrati per le sentenza contro i trasferimenti dei migranti in Albania, ipotizzando addirittura che i magistrati favoriscano le cooperative rosse, Salvini è ripartito a testa bassa contro sinistra e centri sociali: «Gli unici fascisti rimasti», ha detto, «sono quelli dei centri sociali, che hanno la camicia nera sotto quella rossa, altro che 300 camicie nere mandate dal governo a Bologna», ha aggiunto rispondendo indirettamente a Lepore.