Il litigio tra Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti che campeggiava ieri su molti quotidiani ma che Chigi e tesoro hanno smentito a più riprese è incerto. Le testimonianze sono vaghe, oltre che rigorosamente anonime. Ma diversi ministri che avrebbero sentito decibel alti nel colloquio tra i due ai margini del cdm di giovedì. Ma che l’alterco sia reale o esagerato la tensione, in vista della discussione in Parlamento c’è di sicuro ed è alta.

Non potrebbe essere diversamente. Conciliare posizioni diverse non è sempre facile: mettere insieme quelle opposte senza che nessuno ne esca circonfuso di sconfitta è quasi impossibile. Non ci fosse dietro l’angolo una scadenza precisa e di quelle che non lasciano spazio al né di qua né di là ancora ancora ci sarebbe spazio per una tipica soluzione all’italiana, cioè molto ambigua. Ma subito dopo, nel Consiglio europeo del 20 e 21 marzo, l’Italia dovrà confermare il suo sì al Piano di riarmo firmato von der Leyen oppure ripensarci e bocciarlo. Una via di mezzo, al momento, non si rintraccia.

Prima del doppio appuntamento, oggi stesso, ci sarà la conference call dei volenterosi, i Paesi pronti a rispondere all’appello anglo-francese per una missione di peace keeping in Ucraina, convocata dal premier Keir Starmer. Ieri la premier italiana non aveva ancora deciso se partecipare o no. Se anche si collegherà, peraltro, sarà per escludere la partecipazione italiana senza una decisione dell’Onu. È un passo che un po’ stempera la frizione con la Lega, che non accetterebbe mai la missione. Ma al momento la premier ha in tasca solo quella carta e non è sufficiente.

Schierarsi contro il ReArm Europe è in realtà fuori discussione. I partner europei sono già inviperiti per l’astensione di FdI sulla risoluzione Ucraina, nel Consiglio straordinario della settimana scorsa: uno strappo in piena regola, pur se ancora limitato, se si pensa a quali erano state le posizioni della premier e del suo partito sull’Ucraina da prima delle elezioni e a maggior ragione dopo la vittoria elettorale. Bocciare il riarmo vorrebbe dire essere precipitati nel girone degli impresentabili dal quale Giorgia è riuscita brillantemente a tirarsi fuori, in foto di reprobo gruppo con Orbàn e Le Pen, che peraltro Salvini ha invitato al congresso leghista di aprile come ospiti d’onore.

Nelle aule del Parlamento italiano la premier giocherà con le parole e con i toni. Subordinerà la partecipazione italiana, ma senza essere ultimativa, all’accoglienza di misure sul finanziamento accettabili da Giorgetti, che non è preoccupato solo per questioni di schieramento politico come il suo capopartito ma anche, e anzi molto di più, per l’impatto della spesa devoluta al riarmo sui conti pubblici. Cercherà probabilmente di tenere a freno la lingua persino negli attacchi contro la Russia. Sottolineerà che la spesa militare non può andare e non andrà a detrimento di altre voci come Sanità e Welfare. Sottolineerà l’indisponibilità italiana ad accettare decisioni prese nel ping pong tra Parigi e Londra. Insisterà per negare al riarmo qualsivoglia valenza antiamericana. Se la Lega si accontenterà della pillola indorata non ci sarà problema. Se invece chiederà garanzie effettive e contropartite sonanti, come Salvini sembra intenzionato a fare, di problemi ce ne saranno a volontà.

La condizione fondamentale posta sulla quale martella il capo leghista è inaccettabile nel concreto pur se condivisibile per l’intera destra su quello di principio. Si devono comprare solo prodotti italiani, sostiene il ministro dei Trasporti. Impossibile anche se la premier potrebbe impegnarsi a privilegiare sempre e comunque gli acquisti autoctoni di armi. Come prova della scelta italiana di non sacrificare gli italiani per la crociata di Ursula e Macron, il leghista elenca una serie di misure che andrebbero messe in lista prima di cacciare quattrini per le armi. L’elenco è folto ma la vera posta in gioco è la pace fiscale che la Lega vuole approvata entro marzo. Non che esistano relazioni di sorta tra la super- rottamazione delle Cartelle a cui punta il Carroccio e il riarmo. È una contropartita secca, come lo è un altro capitolo per Salvini molto importante alle soglie del congresso: il varo immediato dell’autonomia differenziata, almeno nelle voci che non prevedono la definizione dei Lep e che quindi esorbitano dalle richieste di modifica alla legge imposte dalla Corte costituzionale.

In un modo o nell’altro fra martedì e mercoledì prossimo Giorgia in Parlamento dovrà camminare sulle uova per evitare spiacevoli sorprese nella sua maggioranza e subito dopo, giovedì e venerdì, dovrà cimentarsi in esercizi di equilibrismo altrettanto difficili a Bruxelles, oltretutto puntando i piedi per strappare condizioni non capestro nelle modalità di finanziamento del ReArm. Settimana difficile per l’inquilina di palazzo Chigi.