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Due giorni fa, quando i cronisti le hanno chiesto lumi sullo stato del progetto Albania, Giorgia Meloni è sbottata: «Ancora con l’Albania? Ma siete fissati». Una così scomposta reazione, a proposito di quello che fino a un paio di settimane fa era il fiore all’occhiello del governo italiano soprattutto all’estero, è eloquente. Lo è anche di più il clamoroso sgarbo ai danni del capo dello Stato di cui la premier si è resa responsabile invitando a palazzo Chigi il vicepresidente del Csm Pinelli senza peritarsi di avvertire prima il Capo dello Stato, che è anche presidente del Csm.
Un simile errore, compiuto da un leader politica intelligente e attenta, indica a propria volta quanto la premier inizia a sentirsi esasperata. Ieri, con sensibile ritardo, fonti del Csm hanno assicurato che in realtà il Quirinale era stato avvertito, ma nel complesso l’intera vicenda sembra essere stata gestita con una goffagine senza precedenti. Non che non la si possa capire. Il protocollo con l’Albania è già sommerso sotto una montagna di carte bollate. Da smagliante strategia innovativa che l’intera Europa avrebbe dovuto far propria, assicurando così alla sua ideatrice una postazione eminente, l’accordo è derubricato a lite di condominio, una di quelle vicende estenuanti che si trascinano da un tribunale all’altro.
Basta lasciar parlare i fatti. La nave Libra è ferma in mezzo al mare, peggio che le barche bloccate di fronte ai porti dal Salvini di una volta. Aspetta di fare il pieno di clandestini pescati in mezzo alle acque: ieri è stato issato a bordo un nuovo gruppetto, tra i 6 e gli 8 migranti. Non è chiaro a quale cifra di clandestini la pesca della Libra potrà considerarsi conclusa. Dopo lo screening a bordo una parte del “carico” verrà sbarcata in Italia, mentre quelli per i quali si considera imminente il rimpatrio verranno trasferiti a Shengjin per la procedura accelerata. Quindi saranno trasportati nel centro di Gjader da dove è sin troppo facile prevedere che nel giro di un giorno o due dovranno essere portati in Italia perché è certo che la magistratura impugnerà e invaliderà il provvedimento. Seguirà ricorso del governo. Pioggia sul bagnato. Il governo ha già depositato in Cassazione il ricorso per i 12 migranti già spediti in Albania e poi riportati in Italia.
L’avvocatura sta preparando un secondo ricorso contro la decisione del Tribunale di Catania di non convalidare il tratte-nimento di cinque clandestini, tre egiziani e due bengalesi. I magistrati di Catania hanno esplicitamente scelto di non ottemperare al decreto varato dal governo dopo l’incidente albanese: neppure un dl, scrivono infatti, «esime il giudice dall’obbligo di una verifica della compatibilità con il diritto della Ue». Stavolta il ricorso del governo sarà però depositato non in Cassazione ma in appello, proprio in base al decreto che obbliga a rivolgersi alla Corte d’appello, con obbligo di risposta in tempi molto celeri, proprio per evitare le lungaggini dei ricorsi in Cassazione. Però non c’è decreto che possa aggirare l’obbligo dei tre gradi di giudizio. Anche una eventuale sentenza della Corte d’appello a favore del governo non chiuderebbe affatto la questione, ma anzi la complicherebbe ulteriormente.
Proprio mentre il Tribunale di Catania faceva a brandelli il dl, come tutti sapevano che sarebbe avvenuto in base alla prevalenza del diritto europeo, il Tribunale di Roma ha impugnato il decreto di fronte alla Corte di Giustizia europea. Non è il primo tribunale a muoversi in questo modo. Lo aveva già fatto pochi giorni prima il Tribunale di Bologna, rivolgendosi a propria volta alla Corte europea. Non che sia finita qui perché non bisogna dimenticare i ricorsi in appello dei 12 migranti che hanno fatto avanti e indietro tra Italia e Albania contro il respingimento della loro richiesta d’asilo. Una trafila di questo genere è il contrario di ciò a cui Meloni mirava: una procedura efficiente, di scarso rilievo ai fini del contrasto dell’immigrazione clandestina in Italia ma in grado di poter essere adottata su vasta scala, con una serie di accordi bilaterali, in Europa. L’estenuante braccio di ferro in punta di diritto priva il protocollo di quel che avrebbe dovuto essere il suo impatto in Europa.
La premier avrebbe probabilmente fatto meglio ad mantenersi fredda, accettare l’ostacolo posto il 4 ottobre dalla Corte di Giustizia Ue e fermare l’operazione sino a che a fare chiarezza non fosse stata l’Europa stessa. Ma la freddezza di fronte agli ostacoli non è il lato più forte nella personalità della premier, incalzata oltre tutto da un Salvini che con incidenti del genere va a nozze e infatti alza i toni quanto più possibile: «Per colpa dei giudici comunisti l’Italia è un Paese insicuro». Ma c’è di più. Si avvicina l’audizione del commissario italiano Raffaele Fitto, che sarà conclusa da un voto niente affatto scontato. Socialisti, liberali e verdi erano alla ricerca di un argomento che possa giustificare il loro voto contro Fitto. Ora Giorgia teme che con il ginepraio albanese lo possano trovare.