Quello che si celebrerà oggi alla Camera dei deputati sarà solo il primo di diversi “processi politici” contro il Ministro della Giustizia Carlo Nordio. Stamane infatti Montecitorio si esprimerà sulla mozione di sfiducia al Guardasigilli sottoscritta da tutti i gruppi di opposizione, ad eccezione di Azione che fa sapere che uscirà dall’Aula, avente ad oggetto il rimpatrio del generale libico Osama Njeem Almasri, capo della polizia giudiziaria di Tripoli e direttore del carcere di Mitiga, accusato dalla Corte penale internazionale di crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

L’esito del voto, che si dovrebbe tenere nel pomeriggio, è scontato e sarà favorevole al Ministro. Tuttavia l’iniziativa delle opposizioni rappresenta il primo di diversi bombardamenti che verranno sferrati contro il responsabile di Via Arenula. L’obiettivo? Indebolirne sempre di più l’immagine e l’autorevolezza per far perdere al Governo il referendum costituzionale sulla separazione delle carriere, del quale Nordio è volto e parola. Un assaggio lo avevamo avuto già la scorsa settimana quando sempre tutte le opposizioni, compresa questa volta anche Azione, avevano fatto convocare una seduta straordinaria della Camera per discutere dell’emergenza carcere.

Il governo e la maggioranza avevano disertato l’appuntamento, tranne al momento del voto sulle tre mozioni, e questo aveva costituito per le opposizioni un facile autogol del Governo e quindi il legittimo pretesto per mettere sotto accusa Nordio per la sua assenza e il suo immobilismo dinanzi al sovraffollamento in aumento e ai 24 suicidi dietro le sbarre dall’inizio del 2025.

E si andrà avanti così, senza tentennamenti. Proprio un autorevole esponente del Partito democratico, a proposito delle tensioni createsi tra Esecutivo e magistratura, anche alla luce delle polemiche sulla possibile introduzione dell’illecito disciplinare per le toghe ritenute politicizzate, ci ha detto: «andremo avanti con forza per vincere questo referendum e ci riusciremo».

Adesso che poi Nordio ha chiarito che la norma sull’illecito disciplinare per i magistrati che si espongono pubblicamente, assumendo altresì atteggiamenti di forte contrapposizione all’Esecutivo, non è nelle priorità della maggioranza e del suo Dicastero, le opposizioni si attrezzeranno con sempre più determinazione dentro e fuori il Parlamento per far sentire il loro messaggio anche con l’aiuto delle toghe.

La posta in gioco infatti è molto alta e non si ferma al referendum sulla modifica dell’ordinamento giudiziario. In ballo c’è qualcosa di molto più importante: ossia le elezioni del 2027. Il referendum dovrebbe tenersi nella primavera 2026 e se le elezioni fossero anticipate a maggio 2027 il “plebiscito” cadrebbe ad un anno dall’appuntamento elettorale. È noto ormai che anche la presidente del Consiglio sta investendo tutto sul referendum sulla giustizia, essendo tramontate le altre due importanti riforme, quella del premierato e quella sull’autonomia differenziata. Qualora la battaglia fosse vinta dalle opposizioni, il risultato suonerebbe in modo sinistro per la premier Meloni e tutta la maggioranza proprio a ridosso delle nuove elezioni a cui arriverebbero notevolmente indeboliti. La stessa cosa che accadde a Matteo Renzi: perse il referendum costituzionale per il superamento del bicameralismo paritario nel dicembre 2016 e poi si andò al voto all’inizio di marzo 2018. Bisogna poi dire che il risultato sul referendum sulla separazione delle carriere non appare scontato come quello di oggi sulla mozione di sfiducia: arriverebbe appunto ad un anno dal termine della legislatura quando il Governo tende fisiologicamente a perdere consensi e c’è anche una parte di elettorato di Fratelli d’Italia non eccessivamente predisposta ad appoggiare una riforma che viene da molto tempo etichettata dalle toghe come «punitiva per la magistratura».

Che la vittoria di Nordio e Meloni non sia già scritta lo si sarebbe intuito anche dalle parole del Guardasigilli all’evento di Noi Moderati proprio su questo tema: «Adesso aspetteremo il referendum e auspico che vi si arrivi con la stessa serenità con cui stiamo discutendo oggi (la scorsa settimana, ndr), utilizzando argomentazioni tecniche, senza pregiudizi e senza slogan. Chiunque perda non dovrà essere umiliato». Un self-restraint del Guardasigilli in parte dovuto alla presenza accanto a lui del presidente dell’Anm Cesare Parodi con cui ha intavolato un dialogo franco ma cordiale ma altresì, secondo alcuni osservatori, dall’esigenza di assumere un atteggiamento più modesto, non avendo ancora la vittoria in mano.