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«Un collaudato sistema fraudolento fondato sull'emissione e l'utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente e oggettivamente inesistenti e altri costi inesistenti, adoperati dalla Karibu nelle dichiarazioni relative agli anni 2015-2016-2017-2018 e 2019». Sono queste le motivazioni contenute nell’ordinanza con cui il gip di Latina, Giuseppe Molfese, ha disposto gli arresti domiciliari per Marie Therese Mukamatsindo e Liliane Murekatete, suocera e moglie del deputato Aboubakar Soumahoro, e componenti del consiglio di amministrazione della cooperativa sociale integrata Karibu. Parole che l’avvocato di Murekatete, Lorenzo Borrè, ha potuto leggere solo grazie alla cortesia di un giornalista, che ha inviato al legale l’ordinanza nel primo pomeriggio (gli arresti sono delle prime ore della mattina) ben prima che gli venissero recapitate dagli uffici giudiziari. «Forse le dimensioni del file non sono compatibili con i limiti tecnologici della pec», dice al Dubbio l’avvocato Borrè, che ancora non ha avuto modo di studiare le carte. Sempre che non finisca come nel dicembre dello scorso anno, quando, per colpire la moglie di un deputato (allora ancora nel Gruppo Alleanza Verdi e Sinistra) si scatenò una campagna violenta mediatica proprio contro il difensore dell’indagato, per aver difeso vent’anni prima Erich Priebke, il boia delle Fosse Ardeatine.
Al centro dell’indagine, coordinata dalla Procura e condotta dalla Guardia di Finanza, c’è l’attività delle cooperative (Karibu, Consorzio Aid e Jambo Africa) impegnate nella gestione dei richiedenti asilo e di minori non accompagnati nella provincia di Latina riconducibili alla moglie e alla suocera di Soumahoro e già finite al centro di uno scandalo lo scorso anno. Disposto l’obbligo di dimora, a Carpeneto, in provincia di Alessandria, anche per Michel Rukundo, altro figlio di Marie Therese Mukamatsindo. Reati ipotizzati: frode nelle pubbliche forniture, bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e auto riciclaggio. Disposto anche un sequestro preventivo di quasi due milioni di euro a fini di confisca per equivalente del profitto del reato nei confronti dei membri del cda della cooperativa.
Per gli inquirenti, la Karibu emetteva fatture false «non solo con la specifica finalità evasiva (inserendo in dichiarazione costi non deducibili) ma anche per giustificare in sede di rendicontazione, la richiesta di finanziamenti alla Direzione centrale del “sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati”». Negli anni la cooperativa «ha percepito fondi pubblici da diversi enti statali, poiché è stata ente attuatore di diversi progetti indicati come: Cas (Centri accoglienza straordinaria), Sprar (Sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati) servizio di accoglienza minori e, ancora, progetto rete antitratta», spiega il gip Molfese, Obiettivo degli indagati, secondo quanto riferiscono le indagini: «Risparmio di spesa (e successiva distrazione) dei fondi pubblici percepiti». Da qui, secondo gli inquirenti, la spiegazione di un sistema basato su ospiti in sovrannumero, promiscuità, alloggi fatiscenti, condizioni igieniche carenti, riscaldamenti ridotti alle sole ore notturne o assenti, nessun kit vestiario, insufficienza del cibo e di scarsa qualità, criticità dell'assistenza sanitaria. Per il gip di Latina «buona parte del denaro ricevuto non è stato adoperato per le finalità preposte, questo alla luce delle documentate distrazioni ma, anche e soprattutto, per la carenza dei servizi offerti». L’ordinanza mette in luce poi «bonifici verso l'estero per 472.909 euro negli anni 2017/2022, utilizzo di carte di credito e prepagate, intestate alla Karibu, ma adoperate per finalità private (ristoranti, gioiellerie, centri estetici, abbigliamento, negozi di cosmetica) per importi come 93.976 euro nel 2017, 208.394 nel 2018, 49.946 euro nel 2019; 13.803 euro nel 2020; 2.177 nel 2021».