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Referendum Letta Pd NO
Archiviato il campo largo, quello che sembra delinearsi è una sfida tra un’area Draghi formata dai partiti che ieri hanno votato la fiducia e gli altri, il centrodestra da una parte e il M5s, dall’altra. Enrico Letta usa parole inequivocabili riunendo prima i parlamentari e poi la segreteria. Alle elezioni di settembre, la sfida sarà tra le forze che ieri hanno dato la fiducia a Draghi contro quelle che non lo hanno fatto: M5s da una parte e Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia dall’altra. Fra i parlamentari dem non si fanno pronostici su quale sarà lo schema delle alleanze, ma si considera chiuso il cantiere del campo e ci si prepara a navigare «in mare aperto». Una formula, quest’ultima, usata quasi in coro dal deputato Enrico Borghi e dal senatore Alessandro Alfieri. Se a questo si aggiungono i movimenti al centro per la creazione di quell’area liberal, riformista, moderata ed europeista si può immaginare l’inizio di un nuovo cantiere che comprenda anche il Pd. È l’auspicio formulato da Matteo Renzi che assicura di voler fare di tutto «perché l’area politica che ha sostenuto Draghi sia unita e lavori per offrire un’alternativa vera al populismo». Il voto del Senato, tuttavia, se spezza l’asse Pd-M5s non annulla le distanze da Italia Viva e dalle altre forze neocentriste. E il tempo per colmare questo gap e arrivare al voto con un’offerta comune è scarso. Per questo Enrico Letta annuncia l’inizio immediato della campagna elettorale, chiedendo al Pd di fare tesoro dell’esperienza delle Agorà, «una fortuna averle organizzate», e presentandosi a elettori e militanti «con gli occhi della tigre». Il segretario è sicuro che, in barba ai sondaggi, in campagna elettorale si possa «ribaltare il tavolo» e vincere contro chi «ha tradito gli italiani, il popolo delle partite Iva, i commercianti e i ceti più deboli» non votando la fiducia a Draghi «in un momento drammatico per il Paese». Una corsa solitaria in attesa che compagni di viaggio raggiungano i dem, insomma. Già ieri, nelle ore complicate della trattativa per tenere in piedi il governo Draghi, c’era chi ragionava sullo scenario di elezioni anticipate e in tempi brevi. «Con i collegi uninominali vicini anche solo per un voto, quindi se non vai in coalizione, contro una destra che si presenta unita e compatta, sei destinato a perdere», è il ragionamento che si fa in ambienti parlamentari del Pd. E tuttavia, «con il taglio dei parlamentari, i seggi adisposizione sono meno. Il Pd, da solo, può conquistare quegli storici e puntare a mantenere il risultato, eleggendo in proporzione gli stessi parlamentari di oggi». Al contrario, «in coalizione, dovrebbe trattare per la divisione dei collegi. E lì, trattare con Renzi e Calenda per conservare al Pd quelli sicuri non sarebbe affatto semplice». Al momento, Enrico Letta, si concentra sul suo partito e fa un richiamo all’unità. «Fino ad ora l’unità è stata il nostro valore aggiunto e dovrà continuare». Un appello non banale, visto che in altri frangenti l’approssimarsi delle elezioni e della stesura delle liste elettorali hanno rappresentato un momento conflittuale per idem. La «notte delle liste elettorali» del 2018, quando Matteo Renzi scrisse le liste di suo pugno, senza consultare gli alti dirigenti Pd e provocando una rivolta interna che fece sfiorare una seconda scissione, è rimasta negli annali. Letta non vuole correre il rischio di rinverdire questa tradizione e richiama tutti al senso di responsabilità. «Gli organi del partito saranno riuniti. La discussione avvenga in quegli organi e non sui giornali. Decideremo della conformazione della nostra proposta sul progetto, sul programma», assicura alla segreteria e ai gruppi rappresentati dalle capigruppo Simona Malpezzi e Debora Serrachiani. Messo in chiaro questo, Letta passa a delineare la linea del partito da qui al voto: l’agenda sociale, così come delineata da Mario Draghi la scorsa settimana, dopo l’incontro con i sindacati. E poi la rivendicazione di quanto fatto di buono nei 18 mesi di governo. «Serve il massimo di vocalità per raccontare la nostra narrazione, dire come sono andate le cose, dire chi è colpevole di quanto successo. Va detto senza infingimento e senza cercare di lenire nulla. Dobbiamo trasformare gli appuntamenti delle feste nel primo tempo della campagna elettorale. Sarà il primo messaggio che daremo agli italiani». Quel che sembra certo è che quella diieri, con la mancata fiducia al governo Draghi, è una cesuranetta nella storia recente del Partito Democratico. «Ora pensiamo a noi», dice Enrico Letta ai gruppi parlamentari riuniti nella sala del Mappamondo di Montecitorio, la stessa sala in cui solo sei mesi fa il segretario aveva aperto alla rielezione di Sergio Mattarella, fra gli applausi. Applausi che, seppur di segno diverso, sottolineano il passaggio di Letta sulla crisi in corso: l’asse con il M5s è spezzato, il campo largo è chiuso o al limite, va ripensato a livello di interlocutori. Letta non accetta alibi da chi ha prodotto e consumato lo strappo nel governo: la responsabilità è condivisa da tutti quelli che hanno fatto mancare la fiducia. Anche da Giuseppe Conte, dunque, con il quale il segretario dem ha mediato tutto il giorno, anche personalmente, incontrandolo assieme a Roberto Speranza. Non è stato il solo: Dario Franceschini, assieme al Cinque Stelle Federico D’Incà, è stato protagonista di una lunga giornata di incontri, triangolazioni con gli altri partiti, tentativi di trovare la formula magica in grado di dare nuova linfa all’esecutivo. Speranze che si sono infrante alla richiesta del centrodestra di varare un nuovo governo Draghi: uno schiaffo al premier, dopo che lo stesso Draghi aveva annunciato che non avrebbe dato corso a un nuovo esecutivo. Conte però, nemmeno davanti a una novità politica che avrebbe potuto consentire di lasciare il cerino nelle mani di Matteo Salvini, ha colto l’occasione, lasciando idem soli a combattere. «Siamo stati soli a difendere la linearità delle scelte giuste per il nostro Paese», dice Letta ai suoi parlamentari. Per questo «ora pensiamo a noi» è la certificazione di un nuovo corso che comincia con una campagna elettorale estiva. Una campagna che, dice il segretario, si preannuncia «surreale». E, tuttavia, il Partito democratico ha dato prova di saper gestire appuntamenti di questo tipo, ricorda Letta riferendosi alle regionali del 2021. È l’nizio della campagna elettorale che Letta chiede di affrontare «con gli occhi di tigre». Una formula che bene ha portato ai dem alle ultime amministrative vinte in città difficili come Verona. Letta è fiducioso di poter ripetere l’impresa: «Coloro che dai divani di una villa di Roma hanno fatto una scelta di potere, disinteressandosi dagli interessi del Paese, hanno fatto male i propri conti».