Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei: si dice così no? Solo che in politica l’inverso è ancor più vero e soprattutto utile: fai sapere chi è il tuo avversario e chi vota ti capirà meglio. E’ un teorema che vale sempre, massimamente in tempi di proporzionale quando la regola diventa assiomatica: in quel caso ognuno corre per conto suo e le coalizioni sono neglette. Con buona pace ( Silvio dixit) del tre volte «umiliato» Romano Prodi, comunque determinato a picchiare sul tasto dolente: «O ci dotiamo di una legge elettorale che obbliga ad accorpamenti o non c’è niente da fare. In un Paese frammentato la legge elettorale non è fatta per fotografare le forze in campo ma per dare un governo stabile».

Così non è e, a quanto pare, neppure sarà. A settembre l’ex Cav ci riproverà con il “tedesco” ma rischia di essere una voce che grida nel deserto, e alla fine la probabilità maggiore è che si vada a votare con due leggi elettorali differenti per Camera e Senato.

Che succederà? Mah, quello lo sanno solo i seguaci del mago Otelma. Sulla base del teorema accennato, è invece possibile delineare il tipo di campagna elettorale cui assisteremo e che, per la verità, in gran parte si sta già svolgendo. Una campagna elettorale dominata dal precetto del “contro”, dell’avversario da individuare e colpire senza tregua. Ma attenzione: c’è avversario e avversario; individuare le differenze può diventare decisivo.

Cominciamo dalla sinistra. Qui lo schema di gioco è semplice: Renzi vs il resto del mondo di sinistra. Un copione noto e sperimentato. In verità non così di successo per il leader Pd ma pazienza: l’importante è, parafrasando al rovescio il radicale francese Renè Renoult pas des amis a gauche e fare terra bruciata dei vari Mdp, Possibile, SI eccetera. In realtà il gioco è anche più sottile. Attaccare prevalentemente a sinistra significa attutire ( solo in parte, per carità) lo scontro con i Cinquestelle e soprattutto mettere la sordina alla guerriglia con Berlusconi. A quale fine, noioso ripeterlo. Naturalmente Renzi risulterà cordialmente ricambiato. Da tempo su queste colonne sostieniamo che la sinistra che vuole competere alle elezioni o è antirenziana o non è. Anche da queste parti, ma per ragioni opposte, la conflittualità con i grillini sarà smorzata mentre l’ex Cav, rovesciando lo slogan veltroniano, diventerà “il principale esponente dello schieramento avverso” contro cui scagliarsi senza pietà. Non meno interessante la partita nel centrodestra. Risultati delle urne e flussi di voto alla mano, le recentissime amministrative hanno confermato che c’è una sovrapposizione elettorale della costituency ra FI e M5S, che si colloca dall’una o dall’altra parte a seconda delle circostanze. Berlusconi ha compreso benissimo che se vuole vincere deve riprendersi ciò che Grillo gli ha tolto in termini di consensi. E’ una cosa che ha talmente chiara che ha cominciato a picchiare col martello ad ogni sua uscita pubblica: se vincono i Cinquestelle tasse a dismisura e Piercamillo Davigo a palazzo Chgi. Vade retro: molto più che un pericolo, un incubo. Sarà così nei prossimi mesi, anzi il volume di fuoco aumenterà a dismisura. Anche in questo caso c’è un gioco più sottile in atto. Bombardando alzo zero i Cinquestelle, oltre a recuperare i suoi ex elettori - compresa quella fetta di transfughi finiti sotto le insegne del Carroccio - Silvio dà una corposa mano a Renzi: così facendo, infatti, i grillini saranno alle prese con due fuochi. Diciamola tutta: si tratta di una scommessa che si può anche perdere perché proprio tanto accanimento può fungere da propellente per il profilo antistema del pentastellati oltre che, ovviamente, rinfocolare le accuse di inciucismo Pd- FI. Però è un gioco che vale la candela. E del resto cos’altro può fare Berlusconi: finire nelle braccia di Salvini o condurre una competition solitaria il cui approdo minaccerebbe di perdersi nelle nebbie del dopo voto?

Più complicata la partita del leader leghista. Il bersaglio principale non può che essere Renzi e il Pd: ma fin qui è facile. Poi però le difficoltà crescono. Partire all’attacco del Signore di Arcore è senz’altro nelle corde di Salvini. Tuttavia si rischia il testa- coda. Se gli italiani infatti dovessero premiare il contenitore di centrodestra, come sarebbe possibile stilare un accordo di governo dopo essersi scontrati nelle piazze e in tv con il fin troppo ingombrante, nonché obbligato, alleato? Ma qualcosa del genere vale pure per i Cinquestelle. Attaccarli va bene perché anche Salvini deve chiudere il rubinetto del possibile travaso di voti. Però anche qui: se i grillini diventano il primo partito e Mattarella si trova nella condizione di dare ad un loro esponente l’incarico di formare il governo, può Salvini avviare un repentino dietrofront recuperando le radici “sovraniste” per giustificare una possibile convergenza di maggioranza? Vero è che a quel punto le elezioni sarebbero archiviate e pericoli di smottamenti di consenso annullati. Ma cambiare marcia resta comunque difficile da spiegare. E soprattutto giustificare.

Dunque tornando all’inizio. Per conquistare voti, i nemici sono più utili degli amici. Senza però sbagliare le misure: tutti contro tutti porta all’ingovernabilità. Che è il fantasma che tutti, ufficialmente o meno, vogliono esorcizzare.