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Il direttore di questo giornale conosce bene Platì. Sa che in quel piccolo centro della Locride è in atto una autentica “Resistenza” certamente contro la ’ ndrangheta ma soprattutto contro una ottusa repressione in atto e che finisce con l’essere la migliore alleata delle forze criminali. Ed è triste constatare come, in Calabria più che altrove, i valori della Resistenza, pur esaltati nei discorsi ufficiali, vengano concretamente umiliati e sepolti dalle corone di fiori deposte, tra l’ormai consueto batter di tacchi, da “autorità” senza popolo. A Platì per la terza volta in pochi anni hanno sciolto il consiglio comunale per infiltrazioni mafiose. La notizia è finita nelle pagine interne dei giornali regionali e sembra finito il tempo in cui delle vicende di questo piccolo si occupava la stampa nazionale.
Renzi, presidente del consiglio, dai microfoni della Leopolda ne parlava come di una sorta di linea del Piave. Fuoco di paglia destinato a durare lo spazio di un mattino per poi riprendere con maggior vigore la strada della ottusa repressione.
Sono certo che a molti lettori, la notizia sembrerà un fatto di poco conto ed invece guardando dentro le vicende di questo piccolo centro dell’Aspromon-te si scorge il corpo esausto dell’Italia. Platì è un paese sofferente, da qui la decisione di pessimi medici di staccare la spina quasi che gli ospedali debbano servire per le persone sane. E siccome Platì seppur esausta resiste bisogna sopprimerla a colpi di maglio.
In pratica, nel corso di questo secolo la piccola cittadina dell’Aspromonte non è stata quasi mai amministrata da un sindaco regolarmente eletto e tuttavia la relazione della commissione parlamentare antimafia del 2017 ( per quel che vale) afferma che, in questi anni, la ndrangheta è diventata notevolmente più forte. Più forte nonostante la Rai trasmetta le immagini di una guerra che i cacciatori starebbero combattendo in Aspromonte trasformato per l’occasione nel Vietnam del 2018; nonostante in Calabria ci sia il più alto numero di telefoni intercettati, di innocenti arrestati e indennizzati per ingiusta detenzione, di autorità scortate. Quindi c’è qualcosa che non va!
E ciò che non va è l’assurda strategia di chi ha consapevolmente trasformato la sacrosanta lotta alla ndrangheta in un palcoscenico su cui discutibili comparse recitano la parte degli eroi aprendosi la strada a colpi scena destinate a trasformarsi in “notizie fragorose” sui media nazionali e quindi utilizzate per fulgide carriere, fama e gloria sulle spalle del popolo calabrese. Platì è la dimostrazione del fallimento della lotta alla ndrangheta.
L’operazione “Marine” che è scatenata contro Platì in una notte di novembre del 2003 ne è la dimostrazione lampante: circa centocinquanta arresti in sola notte, mille carabinieri impegnati, porte sfondate, scene di panico, pullman di prigionieri, tra cui il sindaco, avviati verso il carcere. La gente disperata che si rifugia in Chiesa come al tempo delle incursioni dei predoni turchi. La notizia tiene le “prime pagine” per giorni; ne parlano finanche importanti organi di informazione stranieri. Il processo si conclude con tre soli imputati condannati, tutti gli altri assolti, molti addirittura dinanzi al Gup. E tut- tavia, non c’è stata un minimo di riflessione sula “giustizia spettacolo”. Neanche un accenno di autocritica per il diluvio di frottole raccontate in quell’occasione. Anzi da quel momento il consiglio comunale verrà sciolto a ripetizione quasi a dimostrare che i cittadini di Platì siano geneticamente mafiosi e quindi non in grado di esprimere un’amministrazione comunale.
Una autentica follia; un suicidio per lo “Stato” di diritto; un oltraggio alla Costituzione. Un notevole favore alla ndrangheta che grazie ad operazioni da guerra lampo come “Marine”, tenta, ed in parte riesce a saldare in un unico fronte gli ndranghetisti e le persone innocenti vittime di assurde repressioni di massa. Cinquant’anni fa Platì era un paese simbolo di lotta alla mafia ed al sottosviluppo. Ha avuto sindaci comunisti coraggiosissimi.
Due sindaci uccisi di cui uno insieme alla moglie lo dimostrano, dovrebbe far pensare il fatto che i loro assassini non siano mai stati individuati. Ieri, il consiglio dei ministri ha sciolto un consiglio comunale già “morto” per decisione degli stessi consiglieri che, probabilmente intuendo l’antifona, avevano deciso di dimettersi facendo decadere il consiglio comunale.
Era già successo a San Luca nel 2012.
Anche in quel caso s’è sciolto nell’acido della stupidità un consiglio comunale già decaduto e quando le liste per le imminenti elezioni erano state già presentante. Il sindaco di San Luca viene stato arrestato insieme ad un assessore comunale, entrambi accusati di ndrangheta. Un falso: entrambi sono stati assolti. Ma a San Luca da quella data, non si sono più presentate liste e le elezioni vanno deserte a ripetizione, così come era già successo a Platì per lunghi anni. Proprio per questo Platì ( e non solo) è Calabria, è Italia e ci appartiene più che mai. Ora a Platì non c’è più l’amministrazione comunale, non ci sono partiti, non ci sono sindacati. Resta una piccola sacca di “resistenza” guardata con sospetto dal fronte antimafia: la parrocchia. Il parroco è un ex missionario, stimato ed amato in una lunga vita di missioni. Eppure a Platì è diventato un “sorvegliato speciale” perché ha contestato il presunto diritto dello Stato di dire quando, per quali defunti, ed a che ora celebrare messe e funerali. Che dire? Se non fosse retorico: oggi e sempre Resistenza!