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Era il 1948, quando i padri costituenti scrissero nella nostra Carta che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Una frase chiara che non si presta a pluralità di interpretazioni. Innanzitutto la potestà punitiva dello Stato va esercitata con modalità diverse, di cui il carcere rappresenta la più grave, ma non l’unica. Si ha, dunque, “certezza della pena” anche scontando altre sanzioni. Le stesse “misure alternative” lo sono. Esse, infatti, contribuiscono a scontare la pena.
Il trattamento riservato al condannato deve rispettare la sua dignità, mirando al suo recupero sociale. Il luogo dove va scontata la pena, dunque, non deve apportare ulteriori ed ingiustificate sofferenze ed umiliazioni, oltre alla già afflittiva perdita della libertà, e deve essere attrezzato per “rieducare” la persona. Nel 1975, la declinazione di tali principi ha trovato concreta attuazione con l’entrata in vigore dell’Ordinamento Penitenziario, il cui articolo 1 sancisce che “il trattamento penitenziario deve essere conforme a umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona...”.
Il sistema penitenziario è riuscito solo in poche occasioni a rispettare tali imperativi costituzionali e normativi e, nonostante i tanti anni trascorsi, i luoghi di detenzione hanno costituito una spina nel fianco del nostro Stato di Diritto, che nessuno è riuscito a estirpare, nonostante la sottoscrizione di trattati internazionali, raccomandazioni e condanne provenienti dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
La notizia che il ministro della Giustizia, il 12 gennaio scorso, ha istituito la “Commissione per l’architettura penitenziaria” potrebbe essere ritenuta positiva, solo ove fosse accompagnata da altre da tempo attese e se non fosse da inquadrare nei lavori “a perdere” di tante altre Commissioni. Per restare in materia - ma gli esempi potrebbero essere molti - basti pensare alle recente Commissione presieduta dal professor Glauco Giostra, i cui lavori furono, in gran parte, cestinati anche dall’attuale ministro della Giustizia. La Commissione si occupò, tra l’altro, proprio dello “spazio della pena” e della “vita detentiva”, in ossequio ai criteri fissati dalla Legge Delega del 23 giugno 2017. Non a caso, tra i componenti della Commissione vi era il professore Luca Zevi, architetto e urbanista, oggi chiamato a presiedere la neo- commissione istituita dal ministro Bonafede. Tra i componenti la Commissione vi erano anche avvocati dell’Unione delle Camere Penali e possiamo affermare che si discusse a lungo di architettura penitenziaria. Tema poi abbandonato in sede di stesura degli schemi di decreto, per volere di una politica non interessata - nonostante l’espressa delega del Parlamento al governo - a migliorare gli spazi e la vita all’interno degli istituti di pena, in nome anche di quel diritto all’affettività, previsto ma da sempre negato. Lo stesso Luca Zevi, prima ancora, nel 2015, era stato il Coordinatore del Tavolo N. 1 degli Stati Generali sull’Esecuzione Penale che aveva ad oggetto lo “spazio della pena: architettura e carcere”. Stati Generali e Tavoli previsti dai Decreti Ministeriali dell’ 8 maggio e del 9 giugno 2015. Inoltre si è più volte espresso sulla realizzazione del carcere di Nola, indicato nel bando ministeriale del 2017, i cui lavori, si badi, non sono ancora iniziati.
Di tempo ne è passato. La presidenza della Commissione affidata al professore Luca Zevi, dunque, può essere certo una garanzia per le sue specifiche conoscenze e per la sua idea di detenzione, che vede il carcere come una struttura “in cui il detenuto può stare 12 ore al giorno lontano dalla cella, in modo da impegnare la giornata svolgendo attività lavorative, sociali, sportive e avere una camera di pernottamento, possibilmente individuale, dove dormire”. In concreto l’applicazione dei principi costituzionali e delle norme dell’ordinamento penitenziario. La presenza in Commissione di altre rilevanti figure, quali il professore Mauro Palma, Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, di 2 magistrati di Sorveglianza, di altri 5 rchitetti, tra cui Maria Rosaria Santangelo e Cesare Burdese, che si sono occupati in passato di interventi negli istituti di pena, di Gherardo Colombo, Presidente della Cassa delle Ammende, componente all’epoca della Commissione Giostra e che, anche con recenti pubblicazioni, ha evidenziato la necessità di rispettare il principio costituzionale di “rieducazione” del condannato, di Gemma Tuccillo, Capo del Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità, che crede nell’importanza delle misure alternative, può ulteriormente rassicurare sulla qualità dei lavori che si andranno ad intraprendere.
Certo la composizione della Commissione ( 6 architetti, 4 amministrazione penitenziaria, 2 magistrati di sorveglianza, 1 cassa ammende, 1 garante detenuti), lascia fuori molte figure rilevanti che avrebbero potuto contribuire in maniera significativa ai lavori. Basti pensare al mondo degli educatori, dei volontari, del personale medico, dei sociologi, degli insegnanti, che lavorano quotidianamente in carcere e degli stessi avvocati. Va detto che il decreto prevede l’acquisizione di contributi e relazioni di esperti del sistema penitenziario, anche con specifiche audizioni.
Non è, dunque, la composizione della Commissione che preoccupa. Anzi un numero ridotto di persone, peraltro qualificate, può garantire un lavoro più efficace. I dubbi nascono dai consueti preamboli di questi decreti, spesso “parole al vento”, per le quali andrebbero presi ben altri provvedimenti, senza necessità di alcuna Commissione. Leggere queste frasi: “Ritenuto che la progettazione di un format costruttivo e logistico sia necessario per orientare le future scelte in materia di edilizia penitenziaria, per potenziare l’offerta trattamentale in chiave moderna, distante da connotazioni esclusivamente afflittive e contenitive ... secondo un approccio multidisciplinare, culturalmente adeguato alla cornice costituzionale e alle indicazioni della Cedu e del Consiglio d’Europa relative alla vivibilità dell’ambiente detentivo e alla qualità del trattamento...”, lascia sgomenti, se si pensa alle scelte politiche fatte sino ad ora in tema di detenzione, di fatto contrarie a quanto l’Europa con innumerevoli condanne e indicazioni ci ha chiesto.
Dopo tali condanne, abbiamo avuto gli Stati Generali, la legge Delega, le Commissioni ministeriali, ma quasi nulla è mutato. Anzi mentre ci venivano chieste più misure alternative, si è ritenuto – nonostante una Riforma già pronta - di non rispettare tale indicazione, in nome di “una certezza della pena” sbandierata da parte di chi ignora del tutto i principi del nostro sistema penale.
E dunque! Si ricomincia con un’ennesima Commissione che dovrà indicare un “format costruttivo” entro il 30 giugno 2021. Dopo tale data i lavori saranno esaminati dal ministero che dovrà, concretizzare gli interventi sugli immobili esistenti e avviare la costruzione di nuovi istituti. Su quelli esistenti il margine d’intervento è ridottissimo, per quelli nuovi i tempi di realizzazione - tra individuazione delle aree, bandi, progetti, aggiudicazioni, stanziamento delle somme necessarie, esecuzione lavori - saranno biblici, come il recente esempio dell’annunciato e mai iniziato carcere di Nola.
Per rispettare davvero i principi della nostra Costituzione, le norme dell’Ordinamento Penitenziario, le innumerevoli raccomandazioni dell’Europa, sarà certo utile il lavoro della Commissione per migliorare il migliorabile e per la costruzione di nuovi istituti in sostituzione di quelli oggi fatiscenti e irrecuperabili. Ma non va aumentata la capacità ricettiva delle carceri - che devono rimanere luogo di pena solo in casi gravi - né si può pensare a nuovi edifici con 1200 detenuti ( come previsto per Nola) in quanto l’aspetto trattamentale ne sarebbe inevitabilmente penalizzato. È alle misure alternative che bisogna guardare, per diminuire il sovraffollamento ed evitare che i condannati tornino a delinquere. Questa a nostro avviso la traccia da seguire per non imboccare l’ennesimo vicolo cieco, che aumenterà il buio in cui da tempo vive la nostra Costituzione. Al professore Luca Zevi e a tutta la Commissione gli auguri di buon lavoro.
*Documento redatto dall'Osservatorio carcere dell'Ucpi