Il libro di Giuseppe Gangemi, “In punta di baionetta: le vittime militari della Guerra Meridionale nascoste nell’Archivio di Stato”

Giuseppe Gangemi, In punta di baionetta.

1860- 1870: le vittime militari della Guerra Meridionale nascoste nell’Archivio di Stato di Torino, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2021, pagg. 214, euro 20,00 L’Autore analizza le vicende occorse a circa 1.300 prigionieri di guerra trasferiti a Fenestrelle, nel novembre 1860, e le biografie di circa 2.300 soldati meridionali, nei ranghi dell’esercito dal 1861 al 1870. Diversamente dai tanti revisionisti della storia del Risorgimento, che si interessano dei resistenti attivi, combattenti o briganti, l’attenzione è concentrata sui resistenti passivi nell’esercito italiano. Comincia con il descrivere la vicenda dei prigionieri di Capua inviati a Fenestrelle e dimostra che partono da Genova in circa 1.300 per arrivare in 1.186. Cosa è successo ai mancanti? Le ipotesi sono due: che siano stati uccisi nel corso di vari tentativi di fuga o che siano morti perché sorpresi da una tormenta durante la marcia di trasferimento da Pinerolo a Fenestrelle.

Qui si propende per la seconda ipotesi. Nessuna colpa, quindi, dei militari italiani cui si può rimproverare solo di avere nascosto la sorte di tanti prigionieri.

Un brutto vizio, questo, anche perché, arrivati a Fenestrelle, i prigionieri continuano a morire dopo lunghe degenze in ospedale e numerose morti vengono tenute nascoste.

Ci sono poi i coscritti duosiciliani che si consegnarono all’esercito italiano, rifiutandosi però di giurare fedeltà a re Vittorio Emanuele II, perché non intendevano commettere spergiuro, essendo vincolati dalla precedente fedeltà a un re di altra dinastia: “un solo Dio, un solo re, un solo giuramento al re”. E si scopre che, nei primi sei mesi del 1861, il 30% di questi coscritti rifiutò di giurare e venne cancellato, con l’artificio della dicitura ’ erronea figliazione’, dai Ruoli Matricolari.

L’ 1 aprile 1868 i Cacciatori Franchi vennero sciolti e i soldati trasferiti in 12 nuove Compagnie di Disciplina. In 750 sparirono nel trasferimento, circa 1.000 comparvero nelle Compagnie di Disciplina provenienti da chissà dove e 269 non vennero trasferiti e rimasero per 26 mesi nei Cacciatori Franchi, nonostante il corpo fosse stato sciolto.

Sono solo alcune delle incongruenze che, sommate le une alle altre, portano a ipotizzare che almeno 16.000 duosiciliani morirono nelle prigioni dei reggimenti dell’esercito italiano.

È un saggio documentale di agevole lettura. Ha, alla base, un intenso e capillare lavoro di ricerca, durante il quale l’Autore ha scoperto documenti finora sconosciuti e inediti, dissotterrandoli dalla polvere del tempo accumulata in archivi dimenticati e che la coscienza ha forse impedito di distruggere. Qui si apre uno squarcio di luce su un passato troppo a lungo taciuto e oscurato, e colpevole, assieme a tanto altro, di aver quantomeno rallentato la formazione di una coscienza nazionale, che stenta ancora. Qui si dà linearità a eventi che sono stati raccontati in modo strumentale, nell’ottica del nuovo regno, e che i libri di storia hanno storpiato. Qui si ripristina una verità necessaria, e a più di 160 anni dall’unificazione, ormai indolore o, comunque, sopportabile. E non ci sono tracce di una visione nostalgica dettata da neoborbonismo né sottili insinuazioni con l’intento di avvolgere di ombre l’unità d’Italia. C’è piuttosto la volontà di dare finalmente una linearità corretta agli eventi, di osservarli da un punto di vista equidistante senza che le responsabilità celate inficino il percorso verso la patria comune, di togliere colpe immeritate, e falsificate dal vincitore che sempre si impadronisce della storia coniando una sua verità, di far anche risplendere l’innocenza e la fedeltà di un esercito sconfitto.