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Scriveva di sé, Balestrini: «Poeta, romanziere e artista visivo nato a Milano il 2 luglio 1935, vive attualmente a Roma. Agli inizi degli anni ’ 60 fa parte dei poeti “Novissimi” e del “Gruppo 63”, che riunisce gli scrittori della neoavanguardia.
Nel 1963 compone la prima poesia realizzata con un computer. È autore, tra l’altro, del ciclo di poesie della “signorina Richmond” e di romanzi sulle lotte politiche degli anni Settanta come Vogliamo tutto e Gli invisibili. Ha svolto un ruolo determinante nella nascita delle riviste di cultura Il Verri, Quindici, Alfabeta, Zoooom. Nel campo delle arti visive, ha esposto in numerose gallerie in Italia e all’estero. Nel 1993 è presente alla Biennale di Venezia e nel 2012 a Documenta di Kassel».
Asciutto, minimalista quasi.
Oreste del Buono scrisse piuttosto: «Insieme con i lavori dell’antologia poetica I Novissimi, del “Verri”, di “Alfabeta”, del Gruppo 63, di “Quindici”, da Feltrinelli, da Marsilio e nella Cooperativa Scrittori, ha proceduto quel lavoro politico che rende Balestrini uno dei pochi intellettuali della sinistra davvero impegnati ( nell’opera come nel movimento), uno dei pochi irriducibili senza enfasi e senza ostentazione, impossibili da scoraggiare, tenaci senza pathos. Uno dei fondatori di Potere Operaio e dei sostenitori di Autonomia, incriminato per appartenenza a banda armata, esule politico a Parigi e in Germania, assolto dalle accuse, tornato in Italia: del tutto indenne da rimpianti, rimorsi, nostalgie, cedimenti» .
Apparvero, le parole di del Buono, quando Le avventure della signorina Richmond ( Testo& Immagine, 1999) che erano comparse per la prima volta proprio sul Linus da lui diretto e raccolte in un primo libro nel 1977 ( Coop. Scrittori, Roma) divennero complete ( con le poesie fino al 1994).
È del fatidico decennio 1968- 1977 – quando succedevano cose che oggi non si crede: scioperi generali, rivolte nelle carceri; manifestazioni operai- studenti; occupazioni lunghe due mesi e esami collettivi alle università; convegni del movimento studentesco; occupazione di Duomo da parte di cattolici dissidenti, eccetera eccetera eccetera – che la signorina Richmond è testimone e cronista.
Che già, farci poesia era un’impresa. E straordinario fu il linguaggio, mescolando e ricombinando frasi quotidiane colloquiali, discorsi diretti, invettiva, titoli, battute o sentenze di film, canzoni, giornali o romanzi, giochi di parole, slogan: e tutto, diventava miracolosamente letteratura.
Ecco come la signorina Richmond considera che i lama stanno in Tibet ( sulla fatidica giornata del 17 febbraio 1977, la contestazione di Lama e della Cgil alla Sapienza di Roma da parte di indiani metropolitani e autonomia operaia):
« I lavoratori i sindacati sono venuti qui
per ragionare per parlare per ascoltare con calma
la manifestazione di oggi non è fatta
più sacrifici più sacrifici più sacrifici
a un protesta che rischia altrimenti
di rimanere rifiuto nichilista
e reazione rabbiosa e esasperata
non lama nessuno non lama nessuno
per quelle forze esterne e interne all’
università che non vogliono il cambiamento
bisogna dare obiettivi razionali e reali
il pci non è qui lecca il culo alla dc».
Era stato con il suo Vogliamo tutto ( Feltrinelli, 1971) che Balestrini si era imposto all’attenzione del mondo letterario e aveva anche raggiunto il successo presso i lettori.
Un flusso continuo di parole, senza filtro letterario, senza accorgimenti narrativi, l’improvviso apparire sulla scena di un soggetto sociale che era stato protagonista del “miracolo industriale” ma di cui non si era mai sentito parte, e che ora detestava quella fabbrica: «Ogni operaio Fiat ha un numero di cancello un numero di corridoio un numero di spogliatoio un numero di armadietto un numero di officina un numero di linea un numero di operazioni da fare un numero di pezzi di macchina da fare. Insomma è tutto numeri la sua giornata alla Fiat è tutta articolata organizzata da questa serie di numeri che si vedono e da altri che non si vedono. Da una serie di cose numerate e obbligate. Stare lì dentro significa che come tu passi il cancello devi fare così col tesserino numerato poi devi fare quella scala numerata girando a destra poi quel corridoio numerato. E così via. Alla mensa per esempio. Automaticamente gli operai si scelgono i posti da sedere e i posti rimangono quelli poi per sempre. Mica si è organizzati lì alla mensa che tutti si devono sedere sempre allo stesso posto. Ma di fatto tu va a finire che ti siedi sempre allo stesso posto. Cioè è veramente un fatto scientifico questo è un fatto strano. Io ho mangiato sempre alla stessa sedia allo stesso tavolo con le stesse persone senza che nessuno ci avesse mai messi insieme noi».
Qui non c’era più la letteratura industriale dei primi anni Cinquanta, quella della “Civiltà delle macchine” di Leonardo Sinisgalli, dove avevano scritto Ungaretti, Moravia, Gadda; né quella fiducia nel progresso che raccoglieva intellettuali di calibro attorno Adriano Olivetti – come Fortini, Giudici, Volponi, Soavi.
Ma qui fra tutti va ricordato Ottiero Ottieri, e il suo Donnarumma va all’assalto proprio sull’esperienza di selezione del personale che aveva svolto alla Olivetti di Portici, “l’industrializzazione del Meridione”, la fabbrica tutta di vetri. Proprio Ottieri aveva scritto: «Gli altri non ne capiscono niente: possono farmi brevi ricognizioni, inchieste, ma l’arte non nasce dall’inchiesta, bensì dall’assimilazione» .
Balestrini era andato oltre “l’assimilazione”, direttamente alla voce del soggetto. Così come darà poi “voce” al movimento del Settantasette con Gli Invisibili, o agli ultras con I Furiosi.
È scomparsa una figura importante della letteratura e della società italiane. Vale la pena salutarlo con un passaggio di uno dei suoi ultimi lavori, Istruzioni preliminari: «rendere partecipe il lettore azzerando il linguaggio
contro l’abuso la convenzione lo svuotamento di senso contro l’abuso la convenzione lo svuotamento di senso
non più dominanti e dominati ma forza contro forza ».