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«Stanno considerando la sessualità di un ragazzo come un disturbo della personalità. Il problema non è il provvedimento, se sia fondato o meno per altri motivi, il problema è che il comportamento sessuale viene paragonato ad una devianza. È un atteggiamento razzista». L’avvocato Francesco Miraglia ci tiene a chiarire che è questo passaggio quello da condannare. Aldilà della decisione del tribunale: è il fatto di poter inserire tra i problemi di comportamento del ragazzino un’inclinazione sessuale o l’altra a creare sgomento. Luca, per il momento, è ancora a casa. «Ma potrebbero portarlo via anche stasera», spiega Miraglia. I genitori verranno sentiti il 17 gennaio. Nel frattempo, però, l’opinione pubblica si spacca. Mentre il tribunale smentisce la discriminazione - «il nostro interesse riguarda il comportamento complessivo di un minore se presenta o meno difficoltà», ha chiarito la presidente del Tribunale Maria Teresa Rossi -, c’è chi mette in dubbio l’opportunità di provvedimenti simili. «Si sta andando a toccare il piano dei diritti fondamentali», dice Anton Giulio Lana, avvocato e professore di tutela europea dei diritti umani, che, lo scorso 17 giugno, ha presentato una relazione sul tema alla Camera dei deputati, evidenziando l’obbligo dello Stato di non interferire arbitrariamente e, piuttosto, tutelare la vita familiare. «Non ho letto il decreto ma dalle parti estrapolate emergono alcune questioni. I tribunali per minorenni - spiega al Dubbio - sono spesso inclini a recidere il rapporto tra genitori e figli con una facilità già duramente criticata dalla Corte europea.
Collocare un bambino presso una casa famiglia, sia per la legge europea sia per quella italiana, deve essere l’estrema ratio». L’allontanamento, spiega Lana, è giustificabile quando tra i genitori c’è una conflittualità incolmabile, tale che entrambi costituiscono un pericolo per il minore. Solo dopo aver tentato di aiutare la famiglia con il contributo degli assistenti sociali, dunque, «si può collocare un minore in una casa famiglia». Nel caso in questione, la motivazione rischia di sembrare «gravemente discriminatoria». «Non è una devianza l’essere effemminato - spiega -. Sicuramente, non può essere questo il requisito per allontanare un minore dalla famiglia». Perché il vero problema è che quel ragazzino arriverà nella casa famiglia con un marchio: quello di omosessuale, che sia vero o no. «Una stigmate che si porterebbe dietro per tutta la vita», commenta Lana. Per allontanare un ragazzo da casa, spiega, deve esserci grave degrado e violenza, un pericolo grave per il minore. Perché, ricorda la Cedu, «uno Stato non può legittimamente interrompere il rapporto umano più fondamentale, che è quella tra genitori e figli».
Deve essere l’ultima spiaggia. E invece, «sono 15 anni che la Cedu stigmatizza il comportamento dell’Italia di recidere il legame tra figli e genitori».