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*Servizio video di Nicola Campagnani e Lorenzo Tardioli, collettivo Lorem Ipsum

“Razza ultima”, così li ha definiti l’autore e ricercatore Maurizio Alfano in un suo libro. Parliamo con lui di Rom e zingarofobia, a Sibari, dove Roberto Sensi lo ha incontrato nella penultima tappa della sua pedalata contro i pregiudizi. Quello sui rom è uno dei pregiudizi più radicati e indelebili, troppo spesso confuso con la realtà, che invece, ancora una volta, è molto distante.

Chi sono i rom?

Sono una minoranza etnica non riconosciuta dalla normativa europea e italiana, nonostante abbiano origini territoriali e culturali definite, adoperando le Istituzioni una forma di distanziamento sociale secolare, ben più grave dagli effetti prodotti dal Covid. Non sono apolidi, tutt’altro, hanno origini antiche ed oggi sono cittadini italiani, rumeni, bulgari e così via, per la stabile residenza nei territori.

Ecco chi sono i Rom: cittadini italiani ed europei, professionisti, operai, artigiani, artisti, o in cerca di lavoro che nonostante abbiano una doppia cittadinanza sono ancora oggi vittime di pregiudizi consunti.

Quali sono i pregiudizi che questo popolo deve affrontare ogni giorno?

Gente dalla quale bisogna stare lontani per evitare forme di maledizioni ancestrali, contagi non meglio definiti, o per evitare di essere derubati. Queste sono le tre categorie mentali delle quali, la quasi totalità della popolazione italiana è ancora ostaggio. Naturalmente tutto questo non corrisponde ad alcuna evidenza, ma queste persone si ritrovano a doversi difendere quotidianamente da un’identità presunta loro appiccicata, trasformandosi questa, in una sorta di carta di identità genetica. È questa l’aberrazione del nostro tempo, la portata imponente che un pregiudizio può operare. È come dire sei calabrese, dunque sei uno ’ ndraghetista.

Nel suo libro li ha definiti la “razza ultima”, in che senso?

Abbiamo elaborato, all’interno di una sorta di catena di montaggio dei pregiudizi, una forma di sottoclassificazione della specie umana, dove i Rom sono la razza ultima, quelli di cui non bisogna prendersi cura nemmeno nel linguaggio, poiché percepiti e vissuti come esseri con inclinazioni animalesche, geneticamente predisposti al male e a vite promiscue. Trent’anni fa, arrivati gli albanesi in fuga, con luci e ombre inizia in Italia un processo di accoglienza. Da lì a pochi mesi poi, arrivarono a causa del conflitto nei Balcani uomini e donne di etnia Rom e l’accoglienza loro destinata fu quella dei campi. Rinchiusi in luoghi simili a dei canili abusivi, dove gli autoctoni hanno fatto affari.

Anche oggi, un tempo in cui l’antirazzismo si è ormai socialmente affermato, pare sopravvivere un pregiudizio verso questo popolo anche tra i benpensanti. Perché?

Credo per colpe riconducibili anche al cosiddetto antirazzismo poiché nella circostanza di prima, l’accoglienza nei campi come forma di ghettizzazione socio- urbana non fu contestata, o giuridicamente avversata dall’antirazzismo, avallando di contro il pregiudizio sui Rom come gente destinata ad abitare in contesti escludenti, e proponendosi alcuni, addirittura, nella gestione dei campi. Tutto ciò, alimentato da pratiche discriminatorie, riproduce ininterrottamente anche in maniera visiva lo stereotipo del Rom al quale siamo abituati.

In molti sono convinti che non si tratti di pregiudizi, ma che effettivamente in questi ambienti si annidi una certa criminalità. È davvero così? Cosa dicono i dati?

Prendiamo due dei pregiudizi dominanti, Rom ladri di bambini e di materiali ferrosi. Basterebbe consultare il sito della Polizia, sezione minori scomparsi, e capire come non vi sia alcuna relazione tra le scomparse dei bambini e le etnie Rom. Per il secondo pregiudizio il paradosso è che se colto in flagranza di reato, tale è il deposito di rifiuti in aree non destinate alla raccolta dei rifiuti ingombranti, un autoctono spesso non è sanzionato. Chi bonifica quello che altri inquinano viene denunciato e sottoposto al sequestro del mezzo. Anche qui, qualcuno può dimostrare di essere a conoscenza di un cittadino autoctono al quale sia stato sequestrato il mezzo perché colto a scaricare un televisore in un luogo non destinato a tale scopo? Ecco palesarsi lo stigma dei Rom raccoglitori di ferro vecchio e ladri.

Qual è la storia di questo popolo? Come ha finito a trovarsi ghettizzato ai margini della società?

«Aliqui dicebant, quod erant de India» : in questa frase lasciata da frate Girolamo da Forlì, siamo nel 1422, si può, per alcuni, riscontrare una delle prime evidenze storiche circa l’origine “indiana” delle popolazioni Rom. Da questi luoghi origina poi una forte migrazione forzata. La storia dei Rom ci consegna una lunga pagina di discriminazioni intessuta in una fitta trama di condizioni di schiavitù, che a partire pare dal XIV secolo, si è protratta fino quasi alla metà del secolo XIX, quando grazie all’intervento del movimento abolizionista si concretò la liberazione dei Rom dalla schiavitù per ri– definirli uomini liberi. Cinquecento anni di schiavitù hanno marginalizzato un popolo nei recinti dell’indifferenza per confinarlo poi, a libertà acquisita, nei campi europei di riconfinamento identitario e di quotidiano sterminio dei diritti.

Che fare allora?

Una delle prime domande da porsi è: la scenografia urbana nella quale sono stati resi invisibili migliaia di Rom, la consuetudine dei campi, l’isolamento dalle comunità maggioritarie, la bassa scolarizzazione, la quasi totale assenza di un lavoro regolare, è una scelta, o una conseguenza di secoli di costrizioni, retaggi e pregiudizi? Cercano l’isolamento o sono in maniera sistematica esclusi da ogni possibile contatto perché atavicamente ritenuti sediziosi ed etnicamente pericolosi?

Per superare questa condizione è necessario prendere coscienza delle evidenze come, tra le altre, che l’intera popolazione Rom in Italia ( autoctona e non) rimane inferiore alla popolazione complessiva dell’VIII Municipio di Roma o della Zona 7 di Milano, che evidenzia la nostra incapacità di interagire con una popolazione pari a quella di un singolo quartiere - svelando per questa via il nostro essere ancorati a pregiudizi che affondano nella retorica del sangue, del suolo patrio, mentre il mondo che viviamo è su base eterogenea, con confini sempre più porosi e con lo stagliarsi all’orizzonte di comunità sempre più meticce.