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Una «straordinaria necessità e urgenza di incrementare la capacità operativa della Guardia Costiera e della Marina libiche». Commenta così il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli la decisione del governo italiano di fornire ai libici 12 mezzi navali.Il 2 luglio il Consiglio dei Ministri ha così varato un decreto, che dovrà essere approvato dal Parlamento entro 60 giorni, nel quale è delineato il contenuto dell’operazione. Al governo di Tripoli verranno fornite 10 motovedette della Guardia Costiera ''Classe 500'', barche di dieci metri in vetroresina, con un''autonomia di 200 miglia e una velocità massima di 35 nodi insieme a due unità navali''Classe Corrubia'' della Gdf, che sono invece imbarcazioni da 27 metri. Quest’ultime possono raggiungere i 43 nodi e hanno un'autonomia ,- alla velocità di crociera di 21 nodi - di 800 miglia, vale a dire 36 ore.Dal punto di vista operativo i mezzi, concessi a titolo gratuito, dovranno principalmente servire a pattugliare le coste , mentre le motovedette più grandi saranno impiegati, almeno nelle intenzioni, nei salvataggi veri e propri, potendo contare su 14 uomini di equipaggio e capaci di imbarcare almeno un centinaio di persone. Secondo l’esecutivo tutto ciò è giustificato da due priorità: «l''esigenza di contrastare i traffici di esseri umani nonché la salvaguardia delle vita umana in mare». La bozza del decreto legge prevede doversi capitoli di spesa. L’ammontare complessivo per il 2018 sarà di 2,5milioni di euro di cui 1milione e 400mila per lamanutenzione dei mezzi e la formazione del personale della Marina e della Guardia Costiera libica.Interessante è la ripartizione delle spese che, come recita il decreto, sarà ripartità tra fondi di accantonamento che fanno riferimento al ministero dell’Economia , Interni, Infrastrutture e ministero degli Esteri e della Cooperazione internazionale. Per quest’ultimo si prevede una spesa di 1.231.000 euro.In realtà la decisione del governo cade dopo che le operazioni di salvataggio sono state delegate in gran parte proprio ai libici. Ma nel primo weekend, a partire dal 28 giugno data nella quale è stata riconosciuta ufficialmente una zona Sar libica, in cui Tripoli ha preso in mano la situazione, ci sono stati tre naufragi che hanno portato il numero complessivo dei morti e dei dispersi nel solo mese di giugno a 679. Il segno che i libici non possiedono ne i mezzi ne le competenze per i salvataggi e che la loro improvvisazione e, a volte, brutalità, possono provocare vittime. In questa maniera il mediterraneo centrale è divenuto la rotta più pericolosa del mondo. A ciò ha contribuito in maniera determinante l’allontanamento delle ong (con i divieti di attracco e i procedimenti giudiziari), insieme al fatto che i anche i mercantili temono di rimanere invischiati in vicende come quella capitata al cargo danese Maersk rimasto bloccata per giorni davanti Pozzallo a causa della chiusura dei porti italiani.L’Associazione Diritti e Frontiere ha inoltre sollevato dubbi sull’effetti capacità dei mezzi forniti dall’Italia. Le ridotte dimensioni non garantirebbero infatti efficacia nei salvataggi. Anche le unità più grandi non possono imbarcare grandi numeri di persone e hanno poi bisogno di mare calmo.Esistono anche obiezioni fondate circa il ruolo della Guardia Costiera libica nel traffico di migranti in quanto si tratta di una struttura militare non omogenea e in parte dominata dalle milizie armate che si spartiscono il potere in Libia. Ad essere controllati effettivamente sono solo alcuni porti come Tripoli, Zawia, Khoms, ancora Sabratha e Zuwara.Tutte queste località, nonostante l’istituzione di una zona Sar, non hanno una qualifica automatica di “place of safety, cioè porti sicuri di sbarco per i migranti. Una circostanza fondamentale riconosciuta anche dall’Unhcr e dall’Oim (Organizzazione internazionale delle migrazioni). Il rischio serio è di riportare i naufraghi, recuperati in mare, in centri di detenzione inumani con la conseguente violazione di diverse convenzioni internazionali.