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Il dibattito che Il Dubbio ha ospitato in questi giorni sull’inasprimento delle sanzioni penali in materia fiscale, con le colte riflessioni di Michele Fusco e Gennaro Malgeri, mi ha fatto tornare in mente una questione antica, ormai non più di attualità politica in Italia: la punizione penale dell’aborto volontario. Sono abbastanza stagionato da aver partecipato da avvocato difensore a un processo in quella materia, ormai piuttosto desueta nelle aule giudiziarie.
L’impressione generale che ne ricavai fu di grande compassione per storie di marginalità e miseria e la convinzione che la punizione penale a volte può rivelarsi una rimedio inadeguato a una malattia gravissima. Per parte mia non ritengo affatto l’aborto un diritto e sono assolutamente persuaso che sia un interesse della collettività e dello Stato evitarlo, anziché finanziarlo con fondi pubblici. Quell’esperienza professionale però mi ha di fatto mostrato che la sanzione penale non è una panacea per ogni male.
Le stesse ragioni valgono, senza mutamento alcuno, per la lotta all’evasione fiscale. Nessuno, se non per un vezzo letterario, può tessere l’elogio dell’evasore ed è ovvio che lo Stato, come qualsiasi altra comunità, deve sostenersi con il contributo dei consociati.
È tuttavia inutile e controproducente combattere ogni patologia sociale con un unico farmaco, come se il processo penale e il suo esito, non necessario, la galera fosse l’unico strumento giuridico esistente.
Purtroppo in coloro che non hanno esperienza processuale questa convinzione è radicata e persistente, per quanto stravagante come le idee di Donna Prassede.
Gli esempi del delirio pan- penalista si sprecano e ne posso citare alcuni. È giusto pagare i contributi previdenziali ai propri dipendenti? Certamente sì e non è un bel gesto lasciare i lavoratori senza diritti pensionistici o meglio scaricare il loro costo sulle spalle degli altri, dato che comunque le prestazioni ai lavoratori sono in ogni caso dovute dall’Inps.
Sulla base di questo sacrosanto principio, si stabilì a inizio anni 80 che il datore di lavoro moroso andasse sottoposto a processo penale. Fino a che l’economia ha girato bene, i casi di diritto penale previdenziale erano pochi. Poi è arrivata la crisi e con questo un carico spaventoso di notizie di reato a carico di milioni di artigiani, piccoli commercianti e imprenditori, che, travolti dai debiti, non avevano fatto i versamenti all’Inps. Risultato: tribunali intasati, partite Iva rovinate portate sul banco degli imputati alla stregua di rapinatori, anche per somme modeste dato che non esisteva soglia alcuna e si poteva esser processati anche per venti euro.
Poi, sull’onda debordante di ruoli di udienza ormai ingestibili, è stata la magistratura stessa a sollecitare una legge che limitasse la sanzione penale a evasioni previdenziali sostanziose, riservando invece a coloro che sono sotto soglia, “solo” da pagare capitale, interessi e sanzioni fino a che morte non li separi da Equitalia. Alcuni di questi piccoli imprenditori sono anche falliti, magari su istanza proprio di Inps e dell’Agenzia delle Entrate. Oltre al procedimento fallimentare, moltissimi di loro sono finiti ad essere imputati nuovamente per bancarotta. Per la nostra legge basta infatti non aver riempito bene un libro contabile per incappare nei vari tipi di bancarotta. Il disgraziato imprenditore, spogliato spesso di tutti i beni, visto che spesso agiva a livello individuale, senza lo schermo di una società limitata, finiva e finisce quindi per essere un pluripregiudicato. Magari solo perché aveva aperto una pizzeria.
Chiosa finale: quello che ho scritto non è una storiella apologetica, ma il resoconto sintetico di storie tratte dal mio archivio professionale, come si possono trovare in quello di molti altri avvocati e commercialisti. Le manette agli evasori non sono né di destra, né di sinistra: sono solo una ipotesi che non regge alla prova della “sensata esperienza“, per dirla con Galileo. Anche lui non ha avuto una buona esperienza con i tribunali. Lo diceva Brecht ed anche il mio cliente, quello della pizzeria.