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È una mezza vittoria quella di Domenico Lucano, sindaco sospeso di Riace. La sesta sezione penale della Cassazione ha accolto in parte il ricorso presentato dagli avvocati Antonio Mazzone e Andrea Daqua contro il divieto di dimora imposto dal Riesame nel territorio del suo Comune, annullando con rinvio l’ordinanza in merito alle esigenze cautelari e al reato di turbata libertà degli incanti. Toccherà ai colleghi di Reggio Calabria stabilire quanto sia solido il pericolo di reiterazione del reato contestato al primo cittadino, in particolare in merito all’affidamento della raccolta differenziata a due cooperative sociali, prive, secondo l’accusa, dei requisiti di legge, perché non iscritte nell’apposito albo regionale.
Il sostituto procuratore generale della Cassazione, Ciro Angelillis, aveva chiesto la conferma del divieto di dimora, ma senza convincere i giudici del Palazzaccio, per i quali rimane però fondata l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, basata sul matrimonio che Lucano avrebbe «organizzato» tra un cittadino di Riace e una migrante con lo scopo di farle ottenere il permesso di soggiorno. Un matrimonio che però il sindaco si rifiutò di celebrare, date le difficoltà dello sposo anche a ricordare il nome della donna. Per l’accusa si tratterebbe di un «metodo», anche se in realtà si sarebbe concretizzato una sola volta, con un unico matrimonio accertato e, secondo i due sposi, «assolutamente legale».
«In qualche modo abbiamo vinto - commenta al Dubbio Lucano - Rimane questa accusa di immigrazione clandestina, ma credo sia più un fatto politico che giuridico. Avrebbero potuto accusarmi di favoreggiamento se avessi chiesto dei soldi per celebrare dei matrimoni, ma da sindaco non ho mai agito chiedendo qualcosa. Anzi, negli ultimi quattro anni non ho mai ricevuto nemmeno un rimborso spesa dallo stesso Comune che amministro. Mi sarei vergognato di esistere se avessi fatto queste cose». Le accuse continuano a sbriciolarsi, mentre i giudici decidono di non decidere, allungando i tempi di un provvedimento che in primavera risulterebbe, uguali davanti alla legge. Ma Salvini ha usato l’immunità, ribaltando la propaganda di un’organizzazione politica che su quel fatto aveva costruito la propria credibilità». L’ex sindaco, pochi giorni fa, si è presentato in Tribunale per rilasciare dichiarazioni spontanee, proclamando nuovamente la propria innocenza, dopo la chiusura delle indagini notificata a dicembre scorso ai 31 indagati, ai quali viene contestata a vario titolo anche l’associazione a delinquere. Un’accusa che non aveva convinto il gip, secondo cui gli investigatori non avrebbero trovato riscontri, conducendo le indagini in maniera superficiale e con errori tanto grossolani «da pregiudicare irrimediabilmente la validità dell’assunto accusatorio». Per il giudice, infatti, il business dell’accoglienza denunciato da chi ha identificato nel primo cittadino uno sfruttatore degli immigrati per i propri fini non esiste. Anzi, laddove il reato c’è stato è stato per «fini umanitari».