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Si chiamava John Demjanjuk e venne accusato di essere l’uomo delle Ss che gestiva e curava le camere a gas del campo di concentramento di Treblinka, in cui vennero sterminate centinaia di migliaia di ebrei: donne, uomini, bambini.
Demjanjuk si rifece una vita negli Stati Uniti, ma molti anni dopo — a fine anni ’ 90 — venne identificato ed estradato in Israele. Pochi mesi dopo venne processato, e di fronte a lui sfilarono decine di ebrei sopravvissuti all’olocausto che lo riconobbero come Ivan il Terribile. L'avvocato difensore di Demjanjuk si chiamava Yoram Sheftel ed era anche lui ebreo. Fu insultato, minacciato, trattato come un traditore, ma portò avanti il prooprio compito di avvocato senza esitare perché, spiegò, non stava difendendo un criminale nazista ma il diritto universale alla difesa.
Demjanjuk alla fine venne condannato ma, quando il caso arrivò alla Corte suprema di Israele, i giudici, anche loro ebrei, decisero di annullare la sentenza, perché vi era il ragionevole dubbio che Demjanjuk non avesse mai “lavorato” a Treblinka. I giudici erano dilaniati, ma diedero al mondo intero una grande lezione di civiltà giuridica. La difesa dei diritti e la riaffermazione della presunzione di innocenza arrivò infatti dal popolo che più di ogni altro aveva subito le atrocità del nazismo.
L’avvocato di Demjanjuk subì anche un agguato con l’acido da parte di altri cittadini israeliani, ma non si pentì mai della sua scelta di difendere l’uomo accusato di aver sterminato migliaia di ebrei. Anni dopo Demjanjuk venne estradato e processato in Germania. Dopo 16 mesi di udienze Demjanjuk è stato riconosciuto colpevole e condannato a cinque anni di prigione. In attesa del processo d’appello, Demjanjuk è stato liberato ed è poi morto in una clinica tedesca il 17 marzo 2012.