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Qual è la reale posta in gioco? La diatriba in atto sul tema della giustizia italiana riveste in tutta evidenza un’importanza cruciale.
In un tempo in cui i giudizi vengono tagliati con l’accetta dei 240 caratteri di Twitter, gli antichi volumi consegnati alla saggezza umana da secoli di Diritto sembrano essere polverizzati, annichiliti in un vortice distruttivo che non conosce più il bene supremo della riflessione.
Così, mi sono rivolto a una fonte sicura. Un mio parente stretto, ormai abbondantemente oltre gli ottant’anni, è stato procuratore Generale della Repubblica. Conosco bene la sua onestà intellettuale, cristallina, e mi sono deciso a chiedergli cosa ne pensasse del momento presente, in termini di rapporto tra magistratura e politica.
Non è facile per me distillare, nella marea di dettagli, molti anche tecnici, che mi è stata proposta con la precisione del giurista e l’angoscia desolata dell’ uomo ormai irrimediabil-mente disilluso, un’opinione personale sul tema.
Quello che mi è apparso chiaro è che la guerra senza quartiere tra i due poteri, politico e giudiziario, dura ormai da troppi decenni ed è giunta a un punto che rischia di essere fatale per la Repubblica.
La magistratura, da sempre convinta che il grande Male, la corruzione, si sia impossessato della politica in modo irreversibile, è scesa in campo lancia in resta, animata da un fervore quasi mistico.
Trasformandosi però assai repentinamente in una livida replica del nemico originale, la politica sporca, come spesso accade. Le correnti dell’Associazione nazionale magistrati come i partiti politici, la lotta per il potere che si sostituisce alle buone intenzioni, il giustizialismo che cede il passo alla giustizia.
Come sempre, tutto dipende dagli interpreti. Ci sono stati Falcone e Borsellino e c’è Luca Palamara.
C’è stata la prima Repubblica, inchiodata dalle circostanze internazionali a cinquant’anni di potere democristiano e c’è stato il ciclone di Mani Pulite, che di fatto ha aperto la strada al regno, per molti rivelatosi tutt’altro che positivo per l’Italia, di un leader con conflitto di interessi del calibro di Silvio Berlusconi.
Oggi il rischio è ancora più grande, lo stridore delle armi in un campo di battaglia sempre più lontano dalla comprensione popolare, è assordante.
Da una parte, una magistratura mai così inquinata e “carrierista”; dall’altra una politica dallo spessore ben sotto il limite di guardia.
E la posta in gioco, stavolta, si chiama sistema democratico.
La posta in gioco? Eccola.