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Sono protagoniste assolute del processo di emancipazione del loro popolo Dalla lotta all’Isis a quella contro Erdogan per una rivoluzione democratica
Hevrin Khalaf, 35 anni, segretaria generale del Future Syria Party, uccisa il 12 ottobre 2019 durante un bombardamento dell esercito di Erdogan o piu probabilmente sequestrata e violentata da milizie filo turche che attaccano la Siria del nord, il Rojava curdo. Sakine Cansiz, Fidan Dogan e Leyla Soylemez, le tre attiviste freddate a colpi di pistola a Parigi nel 2013, da estremisti di destra turchi, con la sospetta complicita dei servizi segreti di Ankara.
Quattro donne che insieme ad altre migliaia stanno a rappresentare non solo il sacrificio ma la determinazione delle donne curde nella loro lotta per l'emancipazione dalla società patriarcale. In questi anni si è parlato molto delle combattenti che hanno affrontato l'Isis e poi Erdogan, sono state dipinte come eroine, esaltate per la loro bellezza o coraggio. Poco si è scritto sulla vera novita che incarnano in termini storico politici che ha raggiunto anche l Occidente spingendo altre donne ad unirsi, ad esempio, ai battaglioni di protezione della donna ( YPJ) o a collaborare ad altri progetti.
In un intervista del 2020 la comandante curda Nesrîn Abdalla spiegava: «Fino ad ora, gli eserciti erano creati esclusivamente da uomini con un approccio patriarcale, infatti avevano solo due compiti: difendere e vincere. Ma noi siamo un esercito di donne… lo facciamo non solo per proteggerci, ma anche per cambiare il modo di pensare nell’esercito, non solo per guadagnare potere, ma per cambiare la società, per svilupparla». Si tratta della traduzione di un processo molto piu complesso che in realtà parte a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta anche grazie alle elaborazioni del PKK ( Partito dei Lavoratori curdo), dove impugnare le armi dunque e solo uno sbocco di una lotta per liberarsi dai vincoli patriarcali e costruire una nuova idea di società.
Nel Rojava sono state proprio le donne a costituire il nucleo di quello che viene chiamato Confederalismo Democratico, uno spazio statuale federato dove convivono tutte le componenti etniche, curde, turcomanne, arabe, yazide. Un esperimento continuamente sotto attacco per la sua valenza libertaria, ecologista e antidiscriminatoria. Questo tentativo ha in parte scardinato l'essenza della cultura maschilista, basata sulla protezione della donna come mezzo di controllo del suo corpo ( paragonando la presenza dell'uomo come quella di un occupante), il cosiddetto namus, per liberare energie in grado di trasformare tutta la società.
Tutto cio e descritto bene da un rapporto dell’agenzia di stampa curda Firat News Agency ( ANF), che mostra come nel cantone di Cizîre in Rojava, già nel 2014 il 75% delle donne era diventato politicamente attivo e si era unito a diverse organizzazioni. In questo modo la libertà delle donne e quella del Kurdistan andavano di pari passo e il ritorno a una società di natura matriarcale, rappresentato dall'antica divinità di Ishtar, divenne lo scopo della lotta.
Proprio la forza di questa elaborazione ha permesso la costruzione di un esercito femminile che attualmente conta almeno quarantacinque mila combattenti nel Rojava. Una struttura autorganizzata, autogestita e auto addestrata che ha fatto paura prima ai miliziani dello Stato Islamico, per i quali essere uccisi da una donna rappresenta un disonore incancellabile, e poi ad un esercito ancora piu potente come quello turco. Ma la rivoluzione nella rivoluzione, come viene chiamata l'esperienza nel nord della Siria, non si riduce solo all'aspetto militare anche se dettato dalla necessità. Anzi come ha raccontato Necîbe Qeredaxî, avvocata curda e membro fondatore di un centro di ricerca a Bruxelles, solo una piccola parte dell’educazione delle YPJ riguarda l’uso di armi, circa il 20 o 25%; il resto è approfondimento ideologico, educazione politica, sviluppo della personalità.
La liberazione dal giogo maschile infatti ha permesso alle donne curde di dare il via a progetti di alfabetizzazione e scuole oltre che a case dove le componenti femminili dei villaggi possono rivolgersi per qualsiasi episodio di abuso o consulenza di qualche tipo. Nei luoghi di studio, sul recupero della storia del popolo curdo, è stata creata la scienza delle donne, la cosiddetta Jinealogia. Un vero e proprio terremoto culturale che ha dato frutti come il laboratorio femminile di cittadinanza e autogoverno, il villaggio di Jinwar, il posto delle donne libere, nato nel 2018. Questo luogo è divenuto un simbolo già dalla disposizione delle abitazioni a triangolo in modo da creare uno spazio collettivo. Le costruzioni in paglia e fango e intonaco di terra, danno il segno dell'ispirazione ecologista e dell'uso delle risorse locali che servono alla conservazione dell'ecosistema incoraggiando le donne a una partecipazione collettiva. Jinwar ha un impronta antiautoritaria, autorganizzata e le donne che scelgono di rimanere nel villaggio devono accettare questi principi.
Si tratta solo di un esempio della forza dirompente delle donne curde tale da modificare gli assetti di una società che sembrava immobile o, peggio, finita nell oscurantismo dello Stato Islamico. La lotta per la libertà e l’autodeterminazione e ancora in corso e sempre piu attaccata, con il tempo e divenuta un fattore ineludibile di trasformazione non solo a livello regionale ma anche globale. Basti pensare alle tante volontarie internazionali che hanno abbracciato la causa delle Ypj, riportando a casa un bagaglio di esperienze e lotte utili a contrastare la cultura maschilista di casa nostra. Un portato di nuova linfa, mai utile come in questo momento dove la guerra dei maschi sembra aver rimesso indietro le lancette della storia.