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«È un romanzo incentrato sul potere delle storie di cambiare le nostre vite. Anche le menzogne rappresentano particolari tipologie di storie». Questo, in estrema sintesi, il senso del romanzo Bugiarda (Giuntina) – acuta parabola sulle implicazioni etiche e creative della menzogna – come delineato dalle parole della stessa autrice, la scrittrice israeliana Ayelet Gundar- Goshen. Psicologa e attivista per il movimento dei diritti civili, i suoi libri – fra cui Una notte soltanto, Markovitch e Svegliare i leoni – sono tradotti in quattordici lingue, mentre le sue sceneggiature hanno riscosso un notevole successo di critica e premi quali il Berlin Today Award e il New York Short Film Festival Award.
Prendendo le mosse dalle vicissitudini vissute da Nufar, protagonista del suo nuovo romanzo, quanto oggi la costruzione dell'identità è segnata – e a volte forse distorta – dalla velocità della comunicazione e dai riverberi sui social network?
Bugiarda è la storia di come una singola bugia possa fare un'enorme differenza. Nell'epoca della post- verità, l'urlo di una ragazza può indurre un'intera città a twittare e ad alzare la voce. Era mia intenzione creare una versione oscura della fiaba di Cenerentola, dove una menzogna costituisce l'estrema magia che trasforma la protagonista da nessuno a qualcuno. Il termine “post- verità” si riferisce abitualmente all'attualità politica, in cui la realtà obiettiva dei fatti conta meno delle argomentazioni emotive. In Bugiarda, questo fenomeno globale è presente anche in una sua specifica declinazione: a nessuno importa ciò che è realmente accaduto, desideriamo soltanto una buona storia. Consumiamo storie proprio come consumiamo cioccolato. Le preferiamo agro- dolci e non ci interessa davvero sapere da dove esse provengano – chi ha sofferto mentre queste accadevano o che effetto facciano sulla nostra salute. Proprio come alla gente non interessa conoscere informazioni veritiere circa lo sfruttamento dei produttori di cioccolato, così non si appassiona riguardo lo sfruttamento dei “produttori di storie”. Ci intrigano personaggi “buoni e cattivi”, racconti con una vittima e un carnefice. Nel momento in cui leggiamo notizie di questo tenore, ci chiediamo subito: «Chi è il cattivo? Chi è il buono?», quando la realtà è molto più complicata di così. È Nufar – la ragazza che ha subito la sedicente aggressione – una cattiva persona? Certo, ha commesso una cosa terribile, ma non sono così sicura che lo sia.
Aluf Benn, il direttore del quotidiano progressista Haaretz, ha sostenuto che Netanyahu – al suo quinto mandato alla guida di Israele nonostante, allo scadere del termine fissato il 29 maggio, non sia ancora riuscito a formare un nuovo governo in quanto sprovvisto della maggioranza alla Knesset – ha vinto poiché ha saputo dare agli israeliani, fra le altre cose, un'identità ben definita, essendo un leader riconosciuto in tutto il mondo. Ne conviene?
Israele è una terra di scrittori. Autori come Amos Oz e David Grossman sono apprezzati in tutto il mondo, e il thriller politico Fauda ha reso la nostra nazione davvero dipendente. Ma il miglior narratore del nostro Paese è Benjamin Netanyahu. Il talento del primo ministro gli permette di costruire una narrazione così realistica da risultare effettivamente credibile. Soprattutto, la sua abilità nel manipolare i personaggi è tanto grande da renderlo capace di travalicare la mera politica. Infatti, azzarderei l'ipotesi che Netanyahu sia il più grande scrittore del mondo. Hai bisogno di una storia al fine di tenere insieme milioni di persone: il caso della fondazione di Israele fornisce un buon esempio. Gli ebrei hanno girato il mondo per poi tornare nella Terra promessa; giungono da Etiopia, Marocco, Siberia, Cina ed Europa, rischiando le proprie vite per raggiungere questo piccolo lembo di terra nel Medioriente, perché credono tutti in una storia comune, la storia sionista. Il riassunto della trama del racconto bestseller di Netanyahu è che il popolo di Israele rappresenti il massimo bene. Il diavolo sono i palestinesi, reincarnazione di malvagità precedenti che continua a dare la caccia al popolo ebreo: è inutile tentare di negoziare con le entità malvagie. Per usare le stesse parole di Netanyahu: “vogliamo una pace genuina e, per raggiungerla, non condurremo negoziati con un'organizzazione terroristica celata dietro una parvenza di diplomazia”. E la fine della trama? Non vi è una fine. Il conflitto va avanti da sempre.
Nuovi scontri hanno interessato la Striscia di Gaza. Pensa che sarà possibile, in un tempo relativamente breve, guadagnare un nuovo equilibrio?
Abbiamo sentito spesso Netanyahu dichiarare che non è possibile negoziare con Hamas. Mentre accredita ufficialmente questa versione, il governo di Netanyahu in realtà tratta con Hamas, attraverso canali segreti, brevi tregue o scambi di soldati israeliani caduti in cambio di prigionieri palestinesi. Se siamo in grado di negoziare soluzioni di corto respiro, perché non possiamo almeno provare a contrattare accordi di lunga durata? Non ho alcuna simpatia per Hamas. Avrei preferito fronteggiare un nemico più liberale e umano ma non ci è dato scegliere i nostri nemici. Possiamo però scegliere i nostri rappresentanti politici.
In un editoriale pubblicato durante la Guerra di Gaza del 2014, Grossman chiese al governo di Netanyahu: “Come hai potuto sprecare gli anni intercorsi dall'ultimo conflitto senza aver fatto il minimo tentativo in direzione del dialogo? Perché, in questi ultimi anni, Israele ha evitato qualunque ragionevole trattativa con i settori più moderati e aperti al confronto del popolo palestinese?”. Oggi, dopo cinque anni di reciproche perdite, le parole di Grossman risuonano con ancora maggiore veemenza. La sinistra israeliana tenta di presentare un'alternativa alla narrazione di Netanyahu. Risulta molto arduo rifiutarsi di magnificare ogni aspetto del “bene ultimo”. Ciò che appare davvero tragico nel conflitto tra israeliani e palestinesi è che, come evidenziato da Oz, si tratta di “scontro fra giusto e giusto”. Attraverso il riconoscimento delle sofferenze di entrambe le parti, dovremmo giungere a un accordo.
Lei scrive della «stupefacente velocità delle storie che gli esseri umani inventano». È la letteratura una menzogna necessaria?
Orizzonte della letteratura – sia per il lettore che per lo scrittore – è saggiare e affrontare la condizione umana, l'umana complessità. Persone buone compiono azioni cattive. Gente ordinaria effettua scelte terribili. Una ragazza può inventare una bugia senza per questo essere un mostro. Talvolta una bugia è molto più reale della “verità” stessa. Per esempio, come psicologa, trovo i sogni molto più interessanti della cronologia degli eventi succedutisi durante la giornata. Quando un paziente mi mente su qualcosa, sento che la menzogna è anche più importante della verità, in quanto, come i sogni, esprime desideri e paure reali. Durante la seduta, una bugia spesso rivela una verità così intollerabile da non riuscire a venire altrimenti a patti con essa.