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Tiziana Maiolo, editorialista dell'Unità
Garantisti si può nascere. O si può diventare. «Berlusconi, prima del ’ 94, non era né garantista né, figurarsi, forcaiolo. Era sempre stato un liberale, con il tic di dover piacere a tutti. Non tifava Di Pietro, ma non avrebbe mai immaginato di fare, della giustizia, la propria guerra dei trent’anni. Lo capisce quando minacciano di arrestargli il fratello, Paolo. E lo capisce ancora meglio il 22 novembre del ’ 94 con l’invito a comparire scaraventatogli sulla testa dal Pool in pieno G7».
Tiziana Maiolo potrebbe scrivere un romanzo – dopo i libri che ha già pubblicato (“Tangentopoli”, “1992”) – sull’evoluzione del Berlusconi garantista. In questa conversazione ci limitiamo a dei flash. Lei, oggi editorialista dell’Unità dopo esserlo stata anche del Dubbio, oltre che del Riformista, veniva dal manifesto, dalla più autentica tradizione garantista della sinistra italiana, e si trovò a presiedere la commissione Giustizia della Camera come deputata di FI nel “mitico” ’ 94.
Dal manifesto a prima linea di Forza Italia sulla giustizia. Racconta.
Ero già in Parlamento dal ’ 92. Alla Camera. Come indipendente radicale nelle liste di Rifondazione.
Cioè, una deputata comunista, per giunta proveniente dall’eretico manifesto, reclutata dal Cavaliere?
Aveva l’ambizione di piacere a tutti. Era affascinato anzi dalle persone di sinistra. Ma credo sia stato qualcuno di Fininvest a segnalargli che, già come consigliera comunale a Milano, giravo di continuo nelle carceri. Avevo visto Gabriele Cagliari pochi giorni prima che si suicidasse. E al Berlusconi di inizio ’ 94 cosa importava delle carceri? Dentro c’erano già alcuni di Fininvest. Le indagini sulle aziende di Berlusconi erano già iniziate. Cominciava a essere preoccupato.
Tu eri radicale e comunista?
Te l’ho detto: al manifesto mi ero sempre occupata di giustizia, ero di sinistra ed ero radicale. In Comune a Milano entro nel ’ 90 con gli antiproibizionisti. Poi Pannella a inizio ’ 92, a pochi mesi dalle ultime Politiche della Prima Repubblica, inizia a lavorare alle candidature. Il figlio di Cossutta mi offre il collegio Milano- Pavia. Ne eleggono in tre, e passo anch’io.
Due anni dopo, il colloquio con Berlusconi.
Lo incontro a via dell’Anima, inizio ad affumicarlo: io fumo tantissimo, lui è un igienista. Mi chiede se sono impegnata anche per i diritti delle donne. Gli dico che mi sono sempre occupata di giustizia. Ti eleggono e diventi presidente della commissione Giustizia di Montecitorio. Ma prima Berlusconi mi propone come sottosegretario con delega alle carceri. Aveva capito quale fosse la mia vocazione e gli interessava valorizzarla.
Ma?
Ma Scalfaro mi depenna.
E perché?
Dice che la mia nomina provocherebbe l’insurrezione dei direttori di tutte le carceri italiane.
Cioè, per l’ex giudice Scalfaro eri troppo garantista?
Al mio posto viene nominato Borghezio. Scalfaro preferì Borghezio a me.
A quel punto Berlusconi è già il garantista che conosciamo?
Non ancora. A lui interessava dare una svolta ispirata ai valori dell’impresa. Diffidava dei politici di professione: e si sbagliava, perché la politica va fatta seriamente. Oltre a persone di fiducia scelte tra i quadri di Fininvest, o della Standa, pesca nella società civile: imprenditori, primari, intellettuali. Certo non gli ultrà assiepati un anno e mezzo prima sotto palazzo di giustizia coi cartelli “Di Pietro facci sognare”.
Il decreto Biondi apre la storia di Berlusconi con la giustizia.
Avevano minacciato di arrestargli il fratello. Silvio non nasce garantista ma ce lo fanno diventare. Comunque sì, il decreto Biondi è il punto di svolta. Presentato il 14 giugno, ritirato tre giorni dopo. In mezzo, l’uscita televisiva del Pool: non possiamo più lavorare, dicono, chiederemo il trasferimento.
Fatto senza precedenti nelle democrazie liberali.
Decreto Biondi ritirato. Ma in una ventina, noi ribelli votiamo contro il ritiro. Serve a poco. È l’inizio della fine.
C’è un bel drappello garantista, con te alla Camera.
Alfredo Biondi, autentico liberale. Memo Contestabile, socialista. Poi Raffaele Della Valle, capogruppo di FI a Montecitorio, l’avvocato di Tortora. E ovviamente gli avvocati di Berlusconi: Dotti, mio compagno di liceo, e Previti. Ricordo gli avvocati garantisti di An. Uno di loro, Guarra, presiede l’altra commissione Giustizia, quella del Senato. Siamo stati anche noi a trascinare Berlusconi, a farlo garantista. Ma pesa soprattutto quello che gli capita di lì a poco.
Napoli, 22 novembre ’ 94.
Al G7 c’è la conferenza Onu sulla criminalità. Lui deve presiederla. Io sono lì con Biondi e Contestabile, come sempre. La sera prima andiamo al San Carlo. C’è anche Silvio. Iniziano a girare voci su un invito a comparire per Berlusconi. Lui stesso riceve una telefonata da un’ufficiale dei carabinieri. Non dà peso alla cosa. D’altronde, se non fosse finita la mattina dopo sul Corriere, non avrebbe avuto l’impatto devastante che ebbe.
E invece.
E invece alle 6 di mattina svegliano anche me: il Corriere apre con la notizia. Gliel’hanno voluto recapitare nel pieno di una conferenza Onu presieduta da lui. Passa per le forche caudine davanti alle telecamere. Berlusconi aveva priorità diverse dalla giustizia. Ce lo trascinano. Però ripeto: c’era terreno fertile. Intanto aveva studiato Legge. Era grande amico di Craxi. E ha vissuto la tragedia di Bettino. Fino all’operazione a cui Craxi avrebbe potuto sottoporsi a Milano, se solo i magistrati avessero accettato di lasciargliela fare senza arrestarlo. Dissero: venga a operarsi, ma poi lo arrestiamo. E lui resta a morire in Tunisia.
Sembra un po’ Braveheart, il film sull’eroe scozzese William Wallace: non voleva fare l’indipendentista. Finché non gli sgozzano la moglie.
Lui diceva di avere il sole in tasca. Era baciato dall’ottimismo. Poi il 22 novembre gli scaricano sulle spalle una zavorra tremenda, con quell’invito a comparire. Una zavorra che gli impedisce di governare. Fu una cosa scientifica.
Un atto politico.
Rivendicato anni dopo da Borrelli. Disse: mi domando se ne sia valsa la pena, di fare tutto quanto abbiamo fatto con Mani pulite, visto com’è andata a finire, cioè visto che poi al governo ci è andato Berlusconi.
Ghedini sbagliò a suggerirgli le leggi ad personam?
Pensiamo al lodo Schifani e al lodo Alfano: per me sono giusti. Norme così esistono in Francia e altrove. A me interessa questo. Una legge può pure servirti come scudo, ma vale anche per gli altri. E a me interessa capire solo se è una legge di per sé corretta. Perché mai dovrei scandalizzarmi del fatto che Berlusconi se ne può immediatamente servire?
Perché, anni dopo, Berlusconi si rifiuterà di sostenere il referendum di radicali e penalisti sulla separazione delle carriere?
A quel punto non sono più in Parlamento, faccio l’assessore a Milano. Devono aver pesato logiche di convenienza politica, che con gli anni Silvio aveva inevitabilmente imparato a praticare. Erano obiettivi suoi, in cui aveva sempre creduto. Si era convinto che in quel momento non gli sarebbe convenuto sostenerli.
Voleva piacere a tutti, anche ai comunisti. Anche a una radicale eletta in Rifondazione come te.
Alessandra Ghisleri lo ha appena raccontato. Dopo il discorso di Onna, col fazzoletto da partigiano al collo, le chiede il gradimento nei sondaggi. Lei gli dice: è al 75 per cento. E lui: e chi c’è, in quell’altro 25? Non tollerava di non piacere a tutti, proprio non lo poteva sopportare.