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A Napoli per presentare Diem25, lista transnazionale progressista che correrà alle prossime elezioni europee, Yanis Varoufakis appare molto preoccupato dello stallo maturato in Italia dopo il 4 marzo. «Le urne – spiega l’ex ministro delle Finanze greco - hanno premiato le forze anti- sistema». «Le fallimentari politiche di austerity calate dall’alto da Bruxelles – è la disamina dell’economista che tre anni fa ingaggiò un duro braccio di ferro con l’eurogruppo poi culminato nella rottura con il premier Tsipras hanno generato il trionfo di forze politiche come la Lega, che hanno investito tutto sulla paura e sulla xenofobia, che sono il riflesso distorto del disagio dei cittadini».
Il primo partito è però il Movimento Cinque Stelle, che qualcuno definisce come il nuovo centrosinistra. Una tesi che condivide?
Un partito che attinge consensi facendo leva sulla paura dello straniero, del migrante, persino del rifugiato, non può essere definito di sinistra. In alcun modo.
E lei come lo definirebbe?
Come una forza politica che continua a tuonare contro la vecchia casta corrotta per apparire ai cittadini come un partito anti- sistema, ma che in realtà è in transito su posizioni centriste perché vuole guadagnarsi la fiducia dell’establishment.
Crede che Luigi Di Maio riuscirà a formare un governo, su queste basi?
Il Movimento riuscirà a governare soltanto se avrà l’appoggio del Pd. Senza adeguate garanzie per l’establishment, l’Italia resterà nella palude ancora a lungo.
Grillini e leghisti intanto scalpitano: vorrebbero forzare i vincoli sui conti già a partire dal Def che dovrà essere varato entro il 10 aprile. Ma l’attuale ministro Padoan non sembra orientato ad assecondare forzature. Teme contraccolpi per la stabilità del Paese?
Le pretese avanzate da Lega e M5s sono del tutto velleitarie, perché alimentate dalla stessa debolezza scontata da Matteo Renzi: puntare i piedi nel ten- tativo di piegare le regole del Fiscal compact non serve a niente. Per cambiare davvero bisognerebbe avere un progetto alternativo, ma anche la forza di imporlo all’agenda europea. A meno che non dispongano dell’uno e dell’altra, leghisti e grillini non otterranno niente.
Se dovessero governare sarebbero quindi fagocitati dai cosiddetti “poteri forti” che hanno lungamente contestato?
Non c’è dubbio. Proprio come accaduto nel caso di Tsipras e di Renzi, grillini e leghisti saranno assorbiti dal sistema in assenza di proposte concrete. L’Europa non si sfida con i proclami, ma con il coraggio delle idee.
Il reddito di cittadinanza la convince?
È impropriamente chiamato reddito di cittadinanza, ma si tratta in realtà di un salario minimo condizionato alla ricerca di un lavoro sul modello di misure simili già adottate in altri Paesi europei. Non so se possa funzionare o meno. Aspettiamo e vedremo. Ma dev’essere chiaro che se viene finanziato con tagli ai servizi sociali, non va bene.
Il Pd si trova a un bivio dopo il tonfo nelle urne. Lei come ne spiega il crollo nei consensi? E da dove dovrebbe ripartire?
È una forza politica che negli ultimi anni si è schiacciata troppo sull’establishment. Non conosco bene Calenda né Zingaretti, e non esprimo dunque giudizi. Ma io credo che il Pd sia arrivato a un bivio fondamentale: deve decidere se è la forza politica che sta dalla parte dei ceti più deboli o se sta a fianco dei grandi capitani d’industria. Restare nel guado continuerebbe a dare l’impressione che il Pd non sia in grado di fare gli interessi degli uni, né quelli degli altri.
I socialisti europei intanto rischiano di diventare irrilevanti. Non riescono più a leggere la modernità?
Uscire dall’angolo è possibile solo a condizione di creare una strategia coordinata a livello europeo, che affronti le grandi crisi del nostro tempo. Sono molti i temi che possono segnare una nuova stagione progressista: dal cambiamento climatico alle migrazioni, dall’evasione fiscale delle multinazionali al ricatto del debito, dall’emergenza del lavoro alla povertà crescente. Unite le forze progressiste possono farcela: l’Europa è una grande opportunità per tutti. Ed è ora di cominciarne a liberarne il vero potenziale, che va ben oltre la camicia di forza dell’austerity. Diem25 nasce proprio da queste istanze.
Parla di cambiare l’Europa dal suo interno in buona sostanza. Dunque si è pentito di aver ingaggiato tre anni fa un braccio di ferro con l’Europa che la costrinse a uscire di scena?
È una scelta che rifarei anche oggi. Non è stato un sacrificio vano. Battagliare per cambiare le cose è necessario. Ma ciò che ho imparato da quell’esperienza è che per cambiare davvero le cose, bisogna combattere uniti.