GOGNA/ 1

In merito alla vicenda dei professori tributaristi, immediatamente è scattato il meccanismo: tutti certamente colpevoli, condanna già definitiva, si tratta soltanto di lasciare al giudice ( quello vero!) un margine di discrezionalità per stabilire l’entità della pena ( che comunque dovrà essere ' esemplare'). Ognuno ha pensato «io lo sapevo- lo sapevano tutti», finalmente è arrivato un giudice che ha messo fine allo schifo. “Cupola” dei professori: condanna definitiva, ma il processo deve ancora iniziare

Premetto che conosco poco o nulla del procedimento pendente a Firenze, nel corso del quale il GIP ha emesso una lunga e complessa ordinanza di custodia cautelare nei confronti solo di alcuni dei numerosi indagati dei reati di «corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio» o per «induzione indebita» o ancora per «turbata libertà del procedimento di scelta del contraente». Non sono, quindi, in grado di dire se effettivamente siano giustificati i provvedimenti cautelari emessi dal GIP su richiesta dei pm fiorentini. Ma non è questo il tema del mio intervento: le ipotesi di reato, se troveranno conferma in sede processuale, sono certamente gravi ed è giustificato l’allarmismo e lo sconcerto che una notizia tanto clamorosa determina nell’opinione pubblica. Nelle aule giudiziarie si raccoglieranno le prove e si stabilirà se gli odierni indagati, forse un domani imputati, meritino o meno una condanna e se la qualificazione giuridica delle condotte loro attribuite sia corretta o meno. Giusto dunque informare e altrettanto legittimo commentare la notizia degli arresti.

Ma nella vicenda fiorentina si è manifestato qualcosa di diverso e, a mio avviso, di preoccupante: siamo ormai tristemente abituati alla deriva dei cosiddetti processi mediatici, con trasmissioni televisive che si affannano non a svolgere una attività di supplenza dei pubblici ministeri e della polizia giudiziaria ( sulla quale ci sarebbe già molto da discutere) ma a sostituirsi ai giudici, anticipando, sulla base di qualche elemento sensazionale, certezze che tali non sono, ma che influenzano ed alimentano non la ' sete' di giustizia, ma la ' voglia' di vendetta di tanta parte degli spettatori. Creando talvolta situazioni paradossali, di vero e proprio tifo ultrà tra innocentisti e colpevolisti, i primi pronti a fischiare i giudici che, nelle sedi proprie e sulla base di regole che, come si conviene in uno stato di diritto, sono predeterminate, pervengono ad affermazioni di responsabilità. Gli altri pronti ad insultare e finanche aggredire i giudici che, sulla base di una diversa convinzione, non hanno aderito alle tesi accusatorie giungendo a decisioni assolutorie.

E’ venuto fuori infatti un nervo scoperto e si sa che anche sfiorarlo determina un sussulto. E’ sensazione diffusa, ed aggiungo non ingiustificata, che il sistema universitario - ricco di quelli che in gergo definiamo sprezzantemente ' baroni' ed altrettanto popolato da allievi pronti ad eventuali compromessi che consentano progressioni di carriera - sia affetto da una grave patologia, da forme di chiusura in un mondo di pochi eletti che spesso taglia le gambe ai più meritevoli e favorisce i più scaltri. D’altra parte se le cause sono tante, l’effetto è evidente: le Università, salvo come sempre poche ma esemplari isole felici, sono allo sfascio; ed il ' prodotto' che sfornano ormai da molti anni, i laureati, quando va bene poco preparati, ma per tanta parte incolti e finanche ignoranti ( e non solo nella materia prescelta!) sono sotto gli occhi di tutti.

La notizia degli arresti e delle interdizioni è arrivata improvvisa, ma non inaspettata e non ha colto di sorpresa, per quella ' consapevolezza inconscia', come la ha definita qualcuno, che il marcio esisteva e che finalmente il pozzo nero era stato scoperchiato. Coinvolgendo tutti: arrestati, interdetti e finanche solo indagati ( nei confronti dei quali, quanto meno perché non raggiunti da alcun provvedimento anticipatorio - che, in concreto, significa carenza di gravi indizi e/ o di esigenze cautelari dovremmo essere indotti ad un minimo di maggior prudenza). Immediatamente è scattato il meccanismo: tutti certamente colpevoli, condanna già definitiva, si tratta soltanto di lasciare al giudice ( quello vero!) un margine di discrezionalità per stabilire l’entità della pena ( che comunque, per soddisfare il palato delle novelle tricoteuses, dovrà essere ' esemplare').

Ognuno ha pensato «io lo sapevo, io lo sospettavo, lo sapevano tutti, lo sospettavano tutti», finalmente è arrivato un giudice ( in questo caso a Firenze e non a Berlino) che ha messo fine allo schifo.

Pochi hanno riflettuto che è difficile immaginare che oltre una cinquantina di persone sparse su tutto il territorio nazionale fossero tutte d’accordo, pronte a delinquere. Può darsi che sia effettivamente accaduto un tale inconsapevole accordo, ma il dubbio, evocato nella denominazione di questo giornale, non fa parte della coscienza collettiva di certa opinione pubblica.

E siccome ognuno di noi ha ormai - ed è un bene anche se talvolta utilizzato male un nuovo mezzo di comunicazione immediata e diretta del proprio pensiero e delle proprie opinioni, i Social, la condanna mediatica ha già fatto il suo corso: paradossalmente è già passata in giudicato finanche prima ancora di conoscere le imputazioni e la loro complessa articolazione ( imputazioni che, se lette, forse qualche dubbio almeno agli addetti ai lavori dovrebbero suscitare).

Un tempo, senza internet, era più complicato: occorreva preparare un palco in piazza, allestire una gogna, far sfilare il malcapitato, colpevole o innocente che fosse, tra due ali di folla urlante e ringhiosa, e sottoporlo al pubblico ludibrio. In tempi più vicini, in un impeto di esaltazione collettiva, i maoisti inventarono una forma più raffinata di gogna, appendendo cartelli ed orecchie d’asino ai controrivoluzionari: ironia della sorte anche in quel caso si trattava di molti professori universitari; e chi di noi sotto sotto non odia o non ha odiato un professore....

Oggi tutto è più semplice, ma le conseguenze sono drammaticamente peggiori: per i diretti interessati, vittime della gogna mediatica, ma anche, mi sia consentito di dirlo, per la civiltà di un paese che dovrebbe aver messo al bando da molto tempo l’idea della vendetta e dell’odio per chi ha sbagliato ( se ha sbagliato), scegliendo in modo definitivo la cultura del processo propria di uno Stato di diritto moderno e democratico.

Leggere i giornali cartacei o on- line, ascoltare giornali radio non è sufficiente per rendersi conto di quanto sta accadendo: occorre fare un ' giro' su Facebook, sulle studiate condivisioni di foto degli indagati, sui commenti al limite del sanguinario per scoprire od avere conferma della degenerazione in atto.

Ma c’è qualcosa di nuovo e ' di più' che ho notato rispetto a tanti altri casi di giustizia popolar- mediatica ( antitesi della giustizia vera, a cui tutti dicono di volersi ispirare che in troppi disdegnano). Il nervo scoperto di un sistema universitario che, a voler essere buoni, constatiamo tutti essere non funzionante, ha aperto un nuovo cantiere giustizialista. Non basta spiegare che una ordinanza di custodia cautelare non equivale ad una sentenza di condanna, che i gravi indizi non sono equiparabili alle prove certe al di là di ogni ragionevole dubbio, che le prove devono essere raccolte in contraddittorio tra le parti davanti ad un giudice terzo ed imparziale ( auspicabilmente un domani anche separato in carriera dal pm), che devono ancora essere espletati gli interrogatori di garanzia, che un indagato non soggetto a misure cautelari è in posizione processuale evidentemente diversa da altro indagato raggiunto da provvedimenti restrittivi o interdittivi.

Tutto questo non interessa: alla condotta penalmente rilevante, agli elementi costitutivi di ogni reato, alla responsabilità penale necessariamente individuale ( e non collettiva, salvo che nei casi di reati associativi, nel caso di specie non contestati) si è istantaneamente aggiunta una nuova categoria giuridica: la prassi.

La prassi era quella, anzi è quella: lo sappiamo tutti quello che accade nei concorsi universitari, i favoritismi, il clientelismo, il nepotismo e via dicendo. Si è arrivati tardi, come hanno fatto i pm a non accorgersi prima che quella era la prassi e che quella andava e va punita? Ma il malcostume può da solo essere sufficiente a trasformare un comportamento scorretto in un condotta illegittima con caratteristiche tali da assumere rilevanza penale?

E’ un sofisma da giuristi o è un principio di civiltà prevedere che non qualsiasi condotta riprovevole, ma solo quella che integra gli elementi costitutivi di una fattispecie codificata costituisce reato? Si invoca tanto, e tante volte a sproposito, la Costituzione e poi ci dimentichiamo che esiste un sacrosanto principio, quello di legalità, sancito dall’articolo 25 della nostra Carta fondamentale, che a sua volta nasce da secoli e secoli di progressivo avanzamento della civiltà giuridica.

Le prassi sono una cosa diversa; in certi casi, pur andando contro una specifica previsione normativa, possono finanche essere virtuose. Ma non è pensabile che possano assumere autonoma valenza penale e giustificare il pubblico ludibrio dell’intera classe di professori universitari. Attenzione a non cadere in questa ulteriore forma di populismo ( già in parte coltivata dai nostri disattenti legislatori che sembrano fare a gara, per solleticare la pancia di un elettorato che sanno essere giustizialista e forcaiolo, ad inventare nuove imperdibili figure di reato destinate o a rimanere solo sulla carta, come altrettante grida manzoniane, o ad aggravare ulteriormente lo stato comatoso della nostra giustizia penale). Teniamo ben distinti, in conclusione, i giudizi morali dalle statuizioni penali: i primi sono del tutto soggettivi e, in quanto tali, possono essere privi di regole, ancorché necessariamente espressi nelle dovute forme, per non cadere nella diffamazione o peggio nella calunnia; le seconde necessitano di regole, di garanzie, di prove certe acquisite nel rispetto delle leggi, di aule giudiziarie dove non solo vengano celebrati processi, ma ' giusti processi', come oggi ci impongono sempre di più non solo i principi costituzionali, ma anche quelli sanciti dalle carte sovranazionali e dalle Corti che ne sono i loro interpreti..