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Unicredit esce da Mediobanca. Si chiude un’intera epoca del capitalismo italiano: a dir tutta la verità, la stagione d’oro della Mediobanca centro e cuore del “sistema” capitalistico italiano erano finito da un pezzo. L’uscita di Unicredit, ovvero dell’istituto nato dalla fusione di due storiche grandi banche di interesse nazionale, Credito Italiano e Banca di Roma, mette l’epitaffio su un intero periodo di Mediobanca e dell’economia del nostro paese.
Con questa uscita, Unicredit ha messo sul mercato la sua quota dell’ 8,4 per cento di azioni dell’istituto di piazza Cuccia. Grazie a quella partecipazione, la banca era la prima azionista di Mediobanca. Questa vendita rientra nel quadro di una serie di iniziative volte a rafforzare Unicredit e a lanciarla ancora di più nel panorama europeo. In questo modo, infine, la banca realizza pure una significativa plusvalenza: il titolo Mediobanca era in bilancio della banca per un valore di 9,89 euro ad azione. Verrà quindi venduto, secondo gli esperti in materia, con un incasso per Unicredit di circa 800 milioni di euro. L’operazione è condotta da importanti istituzioni finanziarie di importanza globale, come BOFA Securities o Morgan Stanley. In questo modo, Leonardo del Vecchio, con la sua cassaforte societaria, Delfin, diventa il primo azionista di Mediobanca.
Del Vecchio avrebbe comprato anche porzioni dell’ex quota Unicredit. Mediobanca, con questa operazione della sua vecchia banca, diventerà, forse, una public company, in netta contraddizione rispetto alla visione di Enrico Cuccia, antico mentore dell’istituto. Tra gli azionisti Mediobanca a questo punto oltre Del Vecchio ci sarebbero V. Bollorè, affarista francese con un 6,73 per cento, un fondo internazionale della potenza di Blackrock con la quota del 4,9 per cento e Mediolanum, l’istituto della famiglia Doris con il 3,28 per cento.
Qualche analista azzarda un futuro di fusione di Mediobanca proprio con Mediolanum. Il solo ipotizzare una operazione di questo genere, la dice lunga sui cambiamenti drastici che ci sono stati attorno ai centri dell’alta finanza italiana del dopo- Cuccia. Il banchiere storico di Mediobanca aveva avuto sempre una opinione piuttosto personale rispetto all’impero Berlusconi: una operazione di fusione con Mediolanum un istituto che ha una lunga storia “berlusconiana” probabilmente sarebbe stata piuttosto al di fuori del perimetro di Cuccia: ma la storia ha i suoi stranissimi percorsi. E peraltro ormai da tempo Mediolanum ha una partecipazione importante in Mediobanca, come simbolo di questi cambiamenti nelle stanze del capitale nazionale.
Abbiamo detto che l’uscita di Unicredit dall’istituto di piazza Cuccia ( Mediobanca ha sede nella piazza intitolata al suo fondatore storico) il timbro finale della fine di una storia, quella dell’intreccio strettissimo fra le grandi banche nazionali e Mediobanca.
Che cosa è stata Mediobanca nel panorama del capitalismo italiano? Per capirlo dobbiamo andare indietro nel tempo, alla fine della Seconda guerra mondiale. Al 1946. In quel momento viene fondata, anzi letteralmente inventata Mediobanca.
Prima della grande crisi degli anni Trenta, l’Italia era dominata dalle “banche miste”, ovvero da quegli istituti che allo stesso tempo, da un lato accudivano al risparmio dei risparmiatori privati, spesso con depositi a breve termine, e dall’altro, concedevano prestiti e organizzavano operazione a medio e lungo termine con imprese ed altri istituzioni finanziarie. Le banche miste e gli istituti finanziari direttamente impegnati nell’economia produttiva hanno fatto, creato, allargato il capitalismo e l’industrializzazione in quasi tutta Europa ( con l’eccezione della Gran Bretagna): è il capitalismo centrato sulle banche e sulle loro attività di credito.
Anche oggi, a differenza del mondo anglosassone, il capitalismo europeo è dominato in buona parte dall’intermediazione finanziaria gestita in un modo o nell’altro dalle banche. Le banche miste però hanno vissuto una fortissima tensione nella crisi degli anni Venti e Trenta: la loro caratteristica che abbiamo prima descritto, accudire il risparmio a breve e finanziarie con esso attività a medio e a lungo periodo, infatti, le poneva automaticamente al centro di crisi finanziarie. Potevano infatti facilmente in periodi di fortissima recessione ritrovarsi senza liquidità per aver allocato troppo risorse a medio e lungo termine non immediatamente liquidabili.
La crisi drammatica degli anni Venti e Trenta mise in gravissime difficoltà questo tipo di istituti: in Italia in particolare la crisi colpì molto seriamente le banche che erano anche azioniste di importanti gruppi industriali, siamo nel 1933, Alberto Beneduce si inventò l’IRI, l’Istituto per la ricostruzione industriale, per rilevare le partecipazioni azionarie nelle industria detenute dalle grandi banche, Credito Italiano, Banca Commerciale Italiana, Banca di Roma in particolare.
Nel 1936 il disegno riformatore di Beneduce divenne compiuto con la legge bancaria nella quale venivano formalmente distinte l’attività commerciale tradizionale, quella tanto per capirci, dei depositi a breve dei risparmiatori, da quella di investimento: la cosiddetta “separazione”.
In quel momento le tre grandi banche divennero di interesse nazionale, le famose BIN. Preso così corpo l’assetto del capitalismo che riuscì a superare la crisi di quei decenni e poi a gestire la guerra mondiale e specialmente il dopoguerra. Questo assetto del capitalismo italiano, IRI che controllava settori strategici, costituito dalle banche di interesse nazionale e dal capitale privato legato però strettamente a quelle banche, rimase sostanzialmente solido fino all’inizio degli anni Novanta.
Ma in quell’assetto costruito da Beneduce mancava un pilastro essenziale: mancava un forte istituto che finanziasse con capacità e lungimiranza i grandi progetti di investimenti dei gruppi industriali privati per lo più controllati nell’Italia di allora da alcune grandi famiglie, dagli Agnelli ai Pirelli, passando dai Falck.
Nel 1946 questa lacuna serissima venne colmata proprio dalla nascita di Mediobanca. Fu fin dall’inizio un istituto molto molto particolare: era controllata dalle tre grandi banche di interesse nazionale a capitale pubblico, Credito Italiano, Banca Commerciale Italiana e Banca di Roma. In realtà però questi tre istituti avevano una tradizione di forte autonomia dal potere politico: nomi e personalità come Raffaele Mattioli ìo Adolfo Tino erano talmente prestigiosi e influenti da non poter minimamente essere subordinati a qualche ministro del tesoro o ai diversi segretario di partito. Le tre grandi banche poi rispecchiavano anche le tradizionali correnti influenti nel mondo economico italiano, quelle che a quel tempo erano denominate con qualche semplicismo, la “finanza laica” e la “finanza cattolica”. Credito Italiano e Comit ( la Banca Commerciale) in particolare erano ben conosciute come i centri di influenza del mondo laico e della grande borghesia liberale e repubblicana: da Ugo La Malfa a Giovanni Malagodi, un po’ tutti gli esponenti politici, o gli intellettuali di riferimento di quel mondo hanno avuto legami consistenti o significativi con quel settore di alta finanza.
Le tre banche di interesse nazionale sostanzialmente controllavano Mediobanca, ma Mediobanca aveva a sua volta una fortissima indipendenza garantita proprio in particolare dalla figura di Enrico Cuccia. Cuccia era un signore che merita una intera enciclopedia. Sua moglie si chiamava Idea Socialista ed era la figlia di Alberto Beneduce, il fondatore dell’IRI nonchè inventore della legge bancaria. Cuccia era stato giovane e attivissimo funzionario bancario: nel 1942 ad esempio fu latore di un messaggio segreto di un gruppo di antifascisti democratici e laici, La Malfa, Adolfo Tino e Carlo Sforza, niente meno che all’ambasciatore George Kennan, figura chiave nella politica internazionale americana, inventore della dottrina strategica americana del “contenimento” verso l’Unione Sovietica. Cuccia insomma era educato fin dall’inizio a diventare un personaggio importantissimo del potere italiano: e così fu proprio con Mediobanca. In sostanza l’istituto di Enrico Cuccia da un lato usava le banche che lo controllavano formalmente per reperire risorse presso i risparmiatori ma con strumenti finanziari a medio o lungo termine e dall’altro lato finanziava i progetti delle grandi imprese, ne curava interessi ed assetti di controllo, ne definiva il futuro con interventi spesso particolarmente pervasivi.
Raffaele Mattioli della Comit fu il più acceso sostenitore del progetto. Ricorda lo stesso Enrico Cuccia citò Mattioli: «Occorre evitare che la congiuntura attuale e dell'immediato dopoguerra riporti fatalmente le banche di credito ordinario a trasformarsi in banche d'affari». L’economia richiedeva finanziamenti a medio e lungo termine: Mediobanca doveva servire a questo scopo senza ricreare le banche miste. Ma la creazione di Mediobanca non fu facilissima. Molti banchieri ed esponenti politici temevano propro un ritorno con essa all’esperienza delle banche miste. Ma le opposizione rientrarono anche per l’opera di persuasione di Raffaele Mattioli, e così preso forma questo strano animale che divenne Mediobanca.
Enrico Cuccia ha avuto nei decenni rapporti leggendari con la famiglia Agnelli e il gruppo Fiat per il quale curò le operazione più importanti; o con Eugenio Cefis, presidente molto controverso di Montedison ( quando Cefis si dimise da Montedison, la leggenda narra che Cuccia lo apostrofò così: «Non me l’aspettavo, credevo che lei avrebbe fatto il colpo di Stato» ). Ma in particolare è entrata nella storia del nostro paese lo storico lo scontro del banchiere di Mediobanca con il banchiere di Patti, il presidente della Banca Privata Italiana, Michele Sindona.
Le attività, i progetti, gli scontri e le guerre di Enrico Cuccia, puramente e semplicemente, hanno scritto la storia economica e politica italiana. Il mondo iniziò a cambiare profondamente con il crollo del muro di Berlino: gli effetti di quello tsunami colpirono a morte anche il ruolo centrale di Mediobanca nel sistema capitalistico italiano. Oggi è stato scritto l’epitaffio di quella grande storia, grande nei successi come negli errori. Ora il faro dell’attenzione dovrebbe essere in particolare puntato proprio su Unicredit. Che farà l’istituto di fatto organizzato attorno alla concentrazione di Credito Italiano e Banca di Roma?
Molti analisti ritengono che Unicredit avrà un grande avvenire in Europa, come grande banca europea. Nel giugno scorso, l’agenzia Bloomberg scrisse di un possibile matrimonio su scala continentale fra Unicredit, Société Générale, un grande istituto francese, e Commerzbank, una grandissima banca tedesca, mettendo così in piedi un colosso in grado di competere su molti fronti con i giganti americani di Wall Street.
L’epitaffio che si è scritto il 5 novembre con l’uscita di Unicredit da Mediobanca potrebbe essere l’inizio di una nuova storia “cosmopolita” dell’alta finanza italiana via la costituzione di un grande gruppo italo- franco- tedesco?
Una cosa poco conosciuta è la fortissima e strettissima collaborazione che si instaurò fra Mediobanca e Lazard, una influentissima banca d’affari franco- americana che ha giocato da sempre un ruolo decisivo negli equilibri economici internazionali e che operava sull’asse Parigi- New York. Mediobanca ha sempre avuto un respiro e rapporti internazionali significativi. Ieri Mediobanca- Lazard, oggi Unicredit- Societè Generale- Commerzbank? Solo il futuro potrà dirlo.