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Gianluca Pastori
La sfida elettorale tra Kamala Harris e Donald Trump sarà decisa da pochi voti. Per questo motivo fioccheranno molti ricorsi. Ne è convinto Gianluca Pastori, professore associato di Storia delle relazioni politiche tra Nord America ed Europa nell’Università Cattolica di Milano ed esperto di Relazioni transatlantiche dell’Ispi.
Queste elezioni presidenziali sono le più complicate per il presente e per il futuro degli Stati Uniti?
La competizione elettorale sarà decisa da pochissimi voti e molti di questi immagino che saranno anche contestati. In merito alla sua domanda, bisogna stabilire cosa intendiamo per “elezioni complicate”, sicuramente avranno delle ricadute molto importanti per la posizione internazionale degli Stati Uniti, ma soprattutto per la politica interna. Sono elezioni in cui i candidati, come succede da qualche elezione a questa parte, si scontrano su idee opposte di America.
La politica estera peserà sull’esito delle elezioni o gli americani pretendono soprattutto risposte su questioni interne, come economia e immigrazione?
Come al solito la politica estera sarà rilevante nelle elezioni nella misura in cui potrà impattare sulla politica interna. L'elettore americano si guarda in casa e guarda a quello che succede nel mondo, attraverso la lente delle conseguenze che ci sono sulla sua vita quotidiana. La politica estera in sé per sé non peserà più di tanto.
Il voto delle comunità islamiche, con la guerra sulla Striscia di Gaza in corso, sarà determinante oppure si sta enfatizzando troppo questa fetta di elettorato?
Sarà un’elezione al fotofinish e anche le comunità islamiche daranno un contributo determinante per il risultato finale. Secondo alcuni sondaggi, una parte del voto degli arabo- americani e dei musulmano- americani, che tradizionalmente è stato democratico, sembra essersi allontanata. Questo non vuole dire che voteranno per Trump, però potrebbero portare avanti un astensionismo che alla fine risulterebbe dannoso soprattutto per Kamala Harris.
In questa campagna si è toccato il livello più basso, rispetto al passato, considerate le offese da entrambe le parti?
Questo è stato forse l’aspetto più imbarazzante. Trump ci ha abituato già da diverso tempo a toni sopra le righe. E quest’anno sono stati veramente tanto sopra le righe. Basti pensare a quanto avvenuto al Madison Square Garden qualche giorno fa. Però, mi sembra che entrambe le parti abbiano giocato a delegittimare l’avversario più che a proporre qualcosa. Quello che mi ha stupito, e in modo non proprio favorevole, è il fatto che nessuno dei due candidati abbia presentato proposte concrete rispetto a come vede il ruolo dell’America nel mondo con riferimento alle tematiche globali, penso alle questioni climatiche.
Abbiamo ascoltato tanti slogan, ma sono state poche le proposte concrete presentate agli elettori. Questa è forse la cosa più disturbante della campagna elettorale. Gli Stati Uniti stanno affrontando un periodo di fortissimi dubbi e forse Trump è la risposta iper- semplificata a questi dubbi.
Kamala Harris ha ottenuto l’appoggio di tante star della musica e del cinema. Un sostenitore di Trump è invece Elon Musk, mentre Jeff Bezos ha scoraggiato sul Washington Post la pubblicazione di un endorsement per Harris. Esistono due distinte tipologie di sostenitori dei candidati?
In parte sì e in parte no. Il mondo del grande capitale è apertamente a favore di Donald Trump per motivi banalmente molto egoistici, per la visione che Trump ha del ruolo dello Stato nell’economia, per le politiche fiscali e per motivi molto pratici. Una parte di questo stesso capitale finanzia anche il partito democratico. Così come ci sono figure dell’establishment culturale, dello spettacolo, della musica, che appoggiano Trump e non i democratici. Ci troviamo di fronte a un tipo di sostegno che è trasversale ai due partiti. Musk sta portando avanti una politica di sostegno aperto a Trump anche se il social X è diventato piuttosto di nicchia. Non credo che le posizioni espresse da Musk o da X possano essere effettivamente il dover e cambiare le regole del gioco. Gli indecisi non basano le loro scelte su X. I democratici non si fanno convincere e i repubblicani che già si trovano su X sono convinti delle scelte che fanno.
Il nuovo presidente che tipo di approccio avrà verso l’Europa e il Medio Oriente, considerato che sono in corso due guerre?
Quello che dice Trump lo conosciamo abbastanza bene. L’abbiamo visto nella prima presidenza, la priorità è l’Asia e consiste nel contrastare la Cina. Europa e Medio Oriente sono, tutto sommato, teatri secondari da chiudere il prima possibile, in modo da liberare risorse finanziarie. Questo discorso vale sia per l’Ucraina che per il Medio Oriente. Harris è più per una politica tradizionale, di presenza degli Usa in tutti i teatri di crisi. Occorre però ricordare che nemmeno Harris può permettersi di rimanere intrappolata in due guerre di cui non si vede la fine. Quindi, dal suo punto di vista, uno sforzo per risolvere le crisi in corso è molto importante.