Nonostante diverse paginate pubblicate dai principali giornali italiani - fitte fitte di intercettazioni - non è che si capisca bene in che cosa consista questa inchiesta giudiziaria sui fratelli dei capi dell’Ncd (il fratello di Alfano, il fratello di Pizza e altri parenti vari...) che da diversi giorni è al centro della battaglia politico-mediatica.Si comincia però a intravvedere qualcosa che si agita dietro l’inchiesta. Anzi: prima dell’inchiesta. Che cosa? Lotte di potere. Stavolta non tra magistrati ma tra gli alti ufficiali della Gardia di Finanza. E la vittima designata, a quanto pare, più che Alfano sarebbe direttamente il premier Renzi. La posta in gioco è il vertice della Guardia di Finanza.Le armi con le quali si combatte sono pallate di fango tirate un po’ a caso di qua e di là con la collaborazione attiva di giornalisti ed editori. Ieri rimbalzavano a caso - senza nessuna accusa specifica, senza spiegazioni, ma comunque facevano la loro bella figura - nomi come quello del vicepresidente del Csm Legnini, quello del ministro Orlando, del sottosegretario Lotti e alcuni un po’ meno noti ma tutti dell’entourage di Renzi.Nell’articolo di Giovanni Jacobazzi, che pubblichiamo a pagina 3, si spiega bene come è nata la trama di questa inchiesta e soprattutto la fuga di notizie. Dalla furia di un pezzo di potere militare contro il generale Toschi, chiamato dal premier a comandare la Guardia di Finanza.Noi naturalmente non sappiamo se fosse giusto o no nominare il generale Toschi (che peraltro anche lui, come Alfano, Pizza e altri ha un fratello sciagurato...), al vertice massimo della Gdf. Certo però abbiamo assistito un po’ sgomenti alla campagna del “Fatto Quotidiano”, dei mesi scorsi, partita da una intercettazione rubata di un colloquio riservato (ma innocente) tra Renzi e il generale Toschi, e non è che ne avessimo capito bene il senso. Ora invece le cose diventano più chiare: alla base di quella campagna c’era un urto feroce ai vertici delle Fiamme Gialle che si è tradotto in un attacco diretto a Renzi e che si realizza solo parzialmente, stavolta, attraverso l’intervento della magistratura (che è stato incerto e timido) ed esplode con l’irrompere del “Nuovo Giornalismo Italiano”, che ha unificato quasi tutte le testate.Siccome, ogni volta che in pubblico si discute di intercettazioni, qualcuno ci spiega che a distribuirle ai giornalisti non sono gli inquirenti ma sono gli avvocati (quasi tutti affetti da masochismo, o da odio per i propri assistiti), è bene che si sappia chiaramente che stavolta le intercettazioni contro Alfano erano state giudicate irrilevanti dai magistrati e quindi non facevano parte dell’ordinanza. Di conseguenza non potevano averle i giornalisti e neppure gli avvocati. Le avevano solo gli inquirenti e in particolare alcuni ufficiali della Finanza. Ai giornali solo loro possono averle distribuite. E quelle intercettazioni incomprensibili ma comunque infamanti, e quasi tutte di seconda o terza mano, servivano esclusivamente a far danzare nella fanghiglia Alfano e a spargere schizzi su Orlando, Lotti, Legnini, Melillo e compagnia.E allora - scusate se forse siamo noiosi a porre sempre questo problema - torna d’attualità la questione dell’uso smodato di intercettazioni che si fa in Italia. E che sono in quantità circa mille volte superiore a quella di tanti altri paesi dell’occidente con indici di criminalità decisamente superiori al nostro. Sarà il caso di chiedersi a che servono? Sarà anche il caso di rispondere - con un pizzico di sincerità - che sono lo strumento principale delle lotte di potere (e lo sono da tanti tanti anni, da quando Scalfari e Jannuzzi scoprirono le cospirazioni dei servizi segreti e del Piano Solo, anno 1964)? Sarà il caso, allora, di pensare a limitarle?Ma alle opposizioni, pare, e in genere ai politici italiani, tutto ciò interessa poco. Nessuno si preoccupa della guerra civile dentro la Finanza. Tutti a chiedere le dimissioni di Alfano e dei suoi fratelli. Fa un po’ di tristezza questa ingenuità. O questa malafede.